Italia, centottanta comuni a rischio default, 120 in pre-dissesto
Centottanta comuni in Italia a rischio default. Al Nord come al Sud, il fenomeno dei comuni in bancarotta è diventato un problema sempre più frequente. Caserta, Alessandria, Velletri, Latina, Terracina e Casal di Principe sono solo alcune delle piccole realtà presenti su una lista che, di anno in anno, diventa sempre più lunga. A restituire una triste fotografia di casse sempre più vuote e bilanci in passivo, stamattina, La Repubblica. Se nel 2009, infatti, i comuni in dissesto erano appena due, nel 2010 sono diventati otto, fino a diventare ben sessantatrè a metà di quest’anno. Un passivo, quello nei conti dei comuni, che incide sulla necessità di garantire i livelli minimi di welfare e di provvedere addirittura all’ordinaria amministrazione. Diventa così difficile, se non impossibile, rattoppare le buche stradali, consegnare gli assegni familiari ai nuclei indigenti, garantire il trasporto pubblico scolastico, assicurare il servizio idrico. Insomma, dare seguito a tutte quelle attività di pubblica utilità la cui gestione è demandata agli enti comunali. Così i comuni continuano a indebitarsi, in una spirale che continua ad auto-alimentarsi e ad allungare l’elenco dei comuni in dissesto.
Accanto agli enti già tecnicamente falliti, c’è la categoria dei comuni in pre-dissesto, ovvero quei comuni per cui la legge prevede un un piano di riequilibrio. Di questa lista fanno parte ben 12o città: Frosinone, Napoli, Messina, Reggio Calabria e Catania. Metropoli che, nel tempo, hanno accumulato debiti per centinaia di milioni di euro. Ma, se per le città più popolose lo stato centrale prevede piani di rientro e soluzioni in extremis, per le piccole realtà non vi è alcuna clemenza. Se, infatti, i debiti di Roma Capitale sono stati “congelati” e la giunta guidata da neo-sindaco, Ignazio Marino, è potuta ripartire temporaneamente senza morosità, così non è stato per realtà più piccole che hanno dovuto reagire da sole per evitare l’inevitabile. È per questo che in molti comuni, dal nord al sud dello stivale, si è proceduto a mettere in cassa integrazione i dipendenti, ad alzare al massimo le aliquote per imposte come rifiuti e tasse comunali, e bloccare gli investimenti sul territorio. Sforbiciate e tagli che, nella maggior parte dei casi, non hanno comunque salvato i comuni dal fallimento. Con un aggravio per le tasche dei cittadini e grattacapi per giunte e consigli comunali.
Carmela Adinolfi