Turchia, Erdogan Presidente
L’ascesa di Recep Tayyip Erdogan ai vertici della Turchia si è rivelata ancora una volta irrefrenabile. In pratica l’Akp, il suo partito religioso e conservatore, non “perde” una tornata elettorale dal 2002. Erdogan a fine Marzo sembrava aver accusato il colpo dovuto a pesanti accuse di corruzione ma poi ha saputo galvanizzare il suo elettorato sensibile al culto del “grande uomo”. È riuscito prima a trionfare alle amministrative, grazie anche a una non tanto velata “censura” dell’opposizione in particolare su Twitter e Youtube, adesso l’ormai ex premier ha vinto le prime elezioni presidenziali a suffragio universale diretto, sfiorando il 52% delle preferenze.
Una consistente investitura popolare che gli ha permesso di affermare la sua volontà di tenere ben stretto il controllo sul governo. Al suo posto è probabile che venga nominato premier Ahmet Davotoglu, l’attuale ministro degli Esteri. Circola anche il nome di Binali Yildirim, ministro dei Trasporti. Sembra esclusa invece la nomina dell’ex Presidente della Repubblica Abdullah Gul, il meno docile tra i più vicini a Erdogan.
“Sarò il Presidente di tutti i 77 milioni di Turchi” ha detto il “sultano” che ha poi aggiunto come sia arrivata l’ora di lasciarsi alle spalle la “cultura del conflitto” e proiettarsi verso la “Nuovo Turchia”. Durante gli anni del suo premierato Erdogan ha portato la Turchia fino al diciassettesimo posto tra le economie mondiali, in 10 anni gli stipendi si sono triplicati. L’obiettivo adesso è quello di varcare la soglia del G10 nel 2023 storico centenario della Repubblica fondata nel 1923 dal padre della patria Ataturk.
Intanto le opposizioni laiche continuano a denunciare la deriva autoritaria del paese. Erdogan controlla qualsiasi tipo di contropotere dalla Magistratura al Parlamento, dalla Polizia ai Servizi Segreti, dall’Economia ai Mass Media. A preoccupare anche la situazione al confine dove l’Isil con base in Siria e in Iraq minaccia di “liberare” Istanbul. Le opposizioni hanno sempre accusato Erdogan di finanziare i gruppi jihadisti in guerra contro Assad. La scelta potrebbe rivelarsi un vero e proprio “boomerang”.