Il tapering fa tremare i Paesi emergenti
Termometro Finanziario: il tapering fa tremare chi non ha fatto riforme, a cominciare dai Paesi emergenti
Settimana caratterizzata dal crollo delle valute dei paesi emergenti, colpite dai timori che la Federal Reserve potrebbe cominciare presto il tapering, ovvero la riduzione fino alla completa eliminazione del programma di stimolo monetario, attualmente a quota 85 miliardi di dollari freschi ogni mese.
Paradossalmente sono cinque anni che i Paesi emergenti chiedono ai Paesi occidentali politiche monetarie più restrittive, e ora che potrebbero ottenerle le cose rischiano di farsi pericolose.
Negli anni scorsi la forte liquidità fornita dalla Fed ha depresso i rendimenti degli investimenti tradizionali, spingendo gli investitori a puntare su altri mercati, quelli emergenti soprattutto, ma anche quelli completamente immersi come il Ruanda, alla ricerca di ritorni più elevati.
Questi paesi emergenti, però, non hanno riformato adeguatamente l’economia, attirando soprattutto investimenti finanziari, invece di investimenti più tangibili: il governo, invece di creare condizioni maggiormente favorevoli alle imprese, ha preferito sprecare questi capitali in sussidi alla popolazione per l’acquisto di cibo e carburante, invece che in infrastrutture. Altri problemi (come la corruzione e la burocrazia) non solo hanno allontanato le imprese straniere, ma in molti casi hanno spinto le aziende domestiche a spostarsi altrove.
Adesso Paesi come India, Brasile, Turchia, Indonesia (e altri) soffrono un rallentamento della crescita economica, in concomitanza con una inflazione crescente, accompagnati da un persistente deficit delle partite correnti finora finanziato grazie ai capitali provenienti dall’estero, o meglio, che provenivano dall’estero. Il risultato, adesso, è un buco di dimensioni crescenti che spinge l’inflazione (perché i programmi di sussidio verranno smantellati) e rallenta la crescita, e che rischia di tramutarsi in stagflazione.
Il tapering risulta quindi essere in sostanza soltanto l’innesco di una crisi che ha radici molto domestiche: un monito per quei Paesi che non hanno approfittato o che non stanno approfittando delle condizioni di mercato favorevoli per riformare. I prossimi paesi da cui gli investitori potrebbero fuggire una volta finita la fuga dai Paesi emergenti sono proprio i paesi della periferia europea, alle prese con problemi addormentati, ma mai risolti.
L’agenda macroeconomica di lunedì prevede solo gli ordinativi di beni durevoli statunitensi, previsti a +0,5 per cento.
Martedì verrà reso noto l’indice info relativo alla fiducia delle aziende tedesche, atteso in lieve rialzo a 107 punti, e la fiducia dei consumatori USA, che dovrebbe calare da 80,3 a 79.
Mercoledì l’istituto di statistica italiana rilascerà le vendite al dettaglio, che dovrebbero confermare la crescita dello 0,1 per cento.
Giovedì verrà reso noto il tasso di disoccupazione tedesco, visto confermato al 6,8 per cento, mentre l’Italia dovrebbe rilevare un lieve miglioramento della fiducia dei consumatori e delle aziende. Verrà poi reso noto l’indice dei prezzi al consumo tedeschi (stima preliminare), atteso in crescita dello 0,1 per cento su base mensile e dell’1,7 per cento su base annua, e dunque in rallentamento. Ancora giovedì, nel pomeriggio, verrà pubblicata la stima preliminare del PIL USA, che su base trimestrale dovrebbe accelerare del 2,2 per cento. Le richieste di nuovi sussidi di disoccupazione dovrebbero attestarsi sulle 335mila unità.
(Per continuare la lettura cliccate su “2”)