A caccia dei voti perduti: la settimana scandinava
Come si riconquistano i voti perduti? Bella domanda. In Scandinavia se lo chiedono in tanti, a partire dal premier svedese Fredrik Reinfeldt che ha undici mesi a disposizione per andare a caccia di uno storico (e oggi improbabile) terzo mandato elettorale.
Tanti voti in un colpo solo li ha persi pure l’ex primo ministro danese Anders Løkke Rasmussen, che dopo essere stato travolto da uno scandalo ora deve ricostruire un’immagine credibile e affidabile di sé. E che dire del governo islandese? Sei mesi fa la vittoria alle elezioni politiche: si andasse oggi alle urne, sarebbe un’altra storia.
In Svezia si sta vivendo quella che assomiglia tanto a una lunga, lunghissima campagna elettorale. Gli occhi sono tutti puntati all’appuntamento del prossimo settembre. E mentre i Verdi si preparano a rastrellare voti puntando forte sui social network (il partito sta allestendo una redazione ad hoc, che dovrà far circolare sul web proposte e politiche) i Moderati del premier Fredrik Reinfeldt ridisegnano la rotta, alla ricerca della via per uscire dalle paludi nelle quali stagnano da qualche mese.
Per vincere le elezioni, Reinfeldt sembra deciso ad abbandonare il sentiero della riduzione delle tasse per andare a sfidare i laburisti sul loro territorio: il welfare.
Nel 2006 la tattica funzionò, complice anche una certa stanchezza nello schieramento di sinistra. Allora un linguaggio nuovo e la promessa di una rinfrescata allo stato sociale convinsero gli svedesi. Stavolta non basterà.
Sette anni e passa di governo pesano sulle spalle del centrodestra, gli elettori hanno una naturale voglia di voltare pagina, la maggioranza deve trovare chiavi nuove per ribaltare la situazione.
Nel frattempo il primo ministro ha messo in fila i risultati di questi ultimi anni. Lo ha fatto nel giorno di chiusura della conferenza del partito dei Moderati, domenica scorsa a Norrköping: “Molti dei paesi più ricchi nel mondo sono fortemente indebitati” ha detto Reinfeldt, “la Svezia è andata nella direzione opposta”. Il premier ha sottolineato che l’economia svedese sta crescendo più velocemente rispetto a quella tedesca, austriaca, finlandese, danese, francese o inglese.
Un lungo elenco geografico che però potrebbe non accendere l’entusiasmo degli svedesi. Torna utile il paragone col 2006, quando uno dei problemi con cui dovette confrontarsi il centrosinistra fu proprio un elettorato che non si riconosceva nel contesto economico favorevole dipinto dai laburisti.
Complice la crisi, anche la Danimarca sta affrontando un passaggio economico e sociale complicato. E anche la Danimarca ha un governo che certo non gode di largo consenso tra la popolazione: il colore è diverso – a Copenhagen comanda il centrosinistra – ma le difficoltà sono simili. Questi giorni però in Danimarca sono stati i giorni di Lars Løkke Rasmussen, ex primo ministro conservatore e leader dei Liberali.
Rasmussen s’è ritrovato sotto il fuoco di fila di stampa e politica dopo che s’è scoperto che in qualità di presidente del Global Green Growth Institute ha più volte viaggiato senza badare a spese, utilizzando denaro che lo stato danese destina all’istituto.
Pioggia di critiche dalla sinistra, domande su domande da parte della stampa, e parole di profonda disapprovazione anche da alcuni membri influenti del partito Liberale: Britta Schall e Ulla Tørnæs, entrambi ex ministri, hanno ad esempio definito “imbarazzante” il comportamento di Rasmussen.
Dopo un lungo tentennamento, Rasmussen domenica scorsa ha affrontato microfoni e telecamere e ha compiuto quel passo che in molti gli avevano chiesto da tempo: presentare le sue scuse e fornire spiegazioni. In una conferenza stampa-fiume, dove è stato unico protagonista, l’ex premier ha dichiarato: “Mi dispiace che il partito ne sia uscito screditato. È una mia responsabilità, ed è una responsabilità che riconosco”. E ancora: “Vorrei scusarmi con le tante persone che supportano i Liberali”. Sbagliare è umano, ha detto. Imparerà dai sui errori, ha assicurato.
E ora? Si volta pagina? Thomas Larsen, noto commentatore politico del quotidiano Berlingske Tidende, non ne è troppo convinto: Rasmussen resta ai vertici del partito, ha scritto, ma ci vorrà tempo per chiarire e metabolizzare il pasticcio. Agli occhi degli elettori la credibilità di Rasmussen esce ridimensionata e le scuse sono state così tardive da arrecare ugualmente un grave danno ai Liberali.
In Norvegia i sondaggi effettuati a un mese e mezzo dalle elezioni dimostrano invece che se si tornasse alle urne oggi i risultati sarebbero gli stessi: la Destra della premier Erna Solberg prenderebbe qualcosa in più, il Partito del Progresso del ministro delle Finanze Siv Jensen qualcosa in meno. Movimenti minimi, sostanzialmente ininfluenti, e non c’è da stupirsi: il nuovo governo di centrodestra s’è insediato da neanche dieci giorni. Ci sarà tempo e modo per capire cosa ne pensano i norvegesi.
In Islanda, invece, è già possibile dare qualche giudizio: i sondaggi più recenti dimostrano che il governo viaggia senza vento in poppa. Il Partito progressista del primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson è sceso al 14,8 per cento (aveva preso il 24,4 alle elezioni dello scorso aprile) e il Partito dell’Indipendenza, partner di di governo, al 23,2 (contro il 26,7 della scorsa primavera).
La somma è presto fatta: il 38 per cento degli islandesi rivoterebbero l’attuale governo, il resto sceglierebbe altro. L’altro nello specifico è composto ad esempio dai laburisti, dati in netta risalita (dal 12,9 di aprile al 19,7), e dal Partito dei Pirati sempre più solido (dal 5,1 all’8,5).
Questo non è il primo sondaggio che mostra come il governo stia perdendo consensi. Se non fossero passati solo sei mesi dalle elezioni, si potrebbe già azzardare l’uso della parola ‘trend’. Di sicuro è un campanello d’allarme, per Gunnlaugsson. I motivi? Tanti, tra qui il ritardo con cui la maggioranza sta provando a mantener fede alle promesse fatte in campagna elettorale, rebus dei debiti delle famiglie prima di tutto.