Il Nord Europa e l’economia in affanno: la settimana scandinava
Il Nord Europa e l’economia in affanno. Tra debiti privati e debiti pubblici, manovre e percentuali, negli ultimi giorni in Scandinavia la protagonista del dibattito politico è l’economia con i suoi affanni.
La Finlandia si appresta a varare l’ennesimo pacchetto di riforme con l’obiettivo di fermare la crescita della deficit. Il primo ministro Katainen ci sta lavorando da un po’, pressato anche dalle sollecitazioni dell’Unione europea. L’accelerazione è arrivata sul finire della scorsa settimana. I sei partiti di governo hanno trovato l’accordo – cosa non da poco visto che la coalizione è composta da soggetti politici eterogenei, frutto di un’elezione dai risultati complicati.
Il ministro delle Finanze, la leader dei laburisti Jutta Urpilainen, ha spiegato che si tratta di misure che vanno a integrare il piano adottato in estate, quando il governo aveva già messo mano agli equilibri contabili.
Stesso discorso dal premier Katainen, che ne ha approfittato per togliersi pure qualche sassolino dalla scarpa: “Se questa situazione fosse stata affrontata in precedenza, ora non avremmo questo problema” ha affermato.
Poi, la difesa delle scelte: Katainen ha sottolineato che la strategia del governo non prevede solo tagli e che la Finlandia grazie a questo pacchetto di riforme avrà un futuro economico più sicuro. Ma il premier ha pure aggiunto che se i risultati non saranno quelli sperati, dovrà essere fatto altro. Parole che suonano come un avvertimento: ulteriori correzioni di rotta potrebbero essere necessarie nei prossimi mesi. La Finlandia va avanti così ormai da un po’.
Nel frattempo, a Helsinki ci si prepara alle elezioni europee in programma nel maggio 2014. I laburisti hanno reso noti alcuni dei nomi da candidare, ma la lista definitiva si vedrà più in là. La notizia più importante però è un’altra: anche Olli Rehn, commissario europeo per gli Affari economici e monetari, correrà per un seggio. Non è una sorpresa: se ne parlava da tempo.
“Credo che i prossimi mesi e le prossime elezioni del Parlamento europeo decideranno in che direzione l’Europa vuole andare, e io voglio essere coinvolto nella costruzione di un’Europa dove lavoro ed occupazione siano più forti” ha spiegato. Rehn ha detto anche di essere pronto a mettersi in gioco per la carica di candidato di punta del suo schieramento politico, l’Alleanza dei liberali e dei democratici europei, incarico attualmente ricoperto dal belga Guy Verhofstatdt.
Resta ora da capire come si muoverà Rehn da qui a maggio ma anche e soprattutto come si muoverà il presidente della Commissione Josè Manuel Barroso. Già, perché al di là dei passaggi formali (Olli Rehn dovrà lasciare il suo incarico entro metà aprile 2014, ma non è escluso che la sua delega possa finire nelle mani di qualcun altro prima di allora) si pone un problema politico: Rehn oggi ricopre un ruolo delicatissimo all’interno della Commissione, un ruolo che non può essere subordinato ad altri progetti personali né che può essere utilizzato come strumento per una scalata politica.
In Islanda invece lo scorso fine settimana il governo ha presentato il suo piano per la gestione dei debiti delle famiglie: un tema che era stato al centro della campagna elettorale dello scorso aprile. A causa della feroce crisi economica che ha colpito l’isola in questi anni, col conseguente balzo verso l’anto dei tassi d’interesse, molti non sono in grado di restituire il denaro preso in prestito.
Chi ha sottoscritto un mutuo con il tasso d’interesse legato all’andamento dell’inflazione potrà godere di uno ‘sconto’ fino a 24mila euro. Costo dell’operazione: circa 900 milioni di euro per le casse dello stato. Attraverso sgravi fiscali, inoltre, l’esecutivo spera di convincere molti cittadini ad attingere ai piani pensionistici per pagare i debiti. Lo stato sovvenzionerà l’intervento anche attraverso un aumento delle tasse per le banche.
“Questo piano aiuterà oltre 100.000 famiglie” dice il primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, “sarà l’inizio di una rinascita economica”. Meno convinto il Fondo Monetario Internazionale, che da settimane mette in guardia il governo: con un ripresa ancora balbettante, la salute dei conti statali potrebbe essere messa a rischio.
Il governo dice però di essere convinto della bontà della propria strategia. Se e come questa impatterà sull’economia islandese lo si vedrà nei prossimi mesi, quando saranno chiari anche i contraccolpi politici. A oggi, infatti, il governo annaspa. Il supporto nei confronti del Partito Progressista e dal Partito dell’Indipendenza continua a scendere.
I numeri elaborati dalla Market and Media Research svelano che l’esecutivo oggi può contare su un consenso pari al 43,1 percento. Il calo è evidente: 60 per cento dopo le elezioni dell’aprile scorso; 54,8 a luglio; 44,6 per cento a inizio novembre.
Ad aver perso per strada gran parte della fiducia degli elettori è il Partito Progressista del premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, oggi al 15 per cento (alle elezioni di aprile avevano preso il 24,4). Regge il Partito dell’Indipendenza, che si mantiene sul 26,8 per cento.
L’economia è il filo rosso che lega anche gli altri paesi nord europei. In Svezia la crescita nel terzo trimestre ha fatto segnare un deludente +0,1 per cento: meno delle attese, tanto per essere chiari. Positivi invece i numeri in Danimarca, dove nello stesso periodo il Pil è cresciuto dello 0,4 per cento.
Sempre bene se la passa bene la Norvegia, dove le prospettive economiche rimangono favorevoli. Ma non è detto che questa situazione sia destinata a durare. Nel bollettino diramato lo scorso venerdì, la Banca centrale norvegese ha sottolineato come l’economia stia rallentando. Gli effetti si vedono anche nelle scelte dei consumatori, molto più cauti e più inclini al risparmio rispetto a quanto lo siano stati negli anni precedenti.