La Finlandia è ancora senza governo
A due mesi dalle ultime elezioni legislative, non si è ancora giunti ad un accordo tra le forze politiche per la formazione di un esecutivo
Si sapeva che sarebbero stati colloqui difficilissimi, ma nessuno avrebbe potuto prevedere tutto ciò che è seguito alle elezioni politiche finlandesi dello scorso aprile. Jyrki Katainen, (nella foto) assunto l’incarico di formare il nuovo governo, si è ritrovato alle prese con un mare di difficoltà. Tra colpi di scena a non finire, Katainen ha dovuto ricominciare più volte i colloqui.
A urne chiuse, a metà aprile, un po’ tutti si erano sbilanciati: il prossimo governo finlandese sarebbe stato un esecutivo guidato da Partito di Coalizione Nazionale, Partito Socialdemocratico e Veri Finlandesi, rispettivamente il primo, il secondo e il terzo partito del paese. Con un ottimismo probabilmente di facciata, anche i protagonisti si dicevano convinti di questa soluzione. Un governo inedito nella storia della Finlandia, ma sulla carta dotato di una buona maggioranza parlamentare: 125 seggi su 200.
Katainen però punta subito ad allargarla ulteriormente, e nei colloqui per la formazione del governo coinvolge Stefan Wallin, leader del Partito Popolare Svedese, formazione che difende gli interessi della minoranza svedese in Finlandia e che dal 1979 in poi è sempre stata nella maggioranza. Katainen sceglie Wallin non tanto per i pochi seggi che porterebbe in più (il Partito Popolare Svedese alle elezioni ha avuto solo il 4,3%) quanto per avere un alleato con cui tenere testa ai Veri Finlandesi e al Partito Socialdemocratico su questioni come le tasse e l’Europa. Ma Veri Finlandesi e Socialdemocratici non hanno voglia di un nuovo socio. Jutta Urpilainen, leader dei socialdemocratici, dice che la soluzione migliore è una coalizione tra i tre maggiori partiti. Timo Soini, carismatica guida dei Veri Finlandesi, la pensa allo stesso modo: il nuovo governo che va profilandosi non ha bisogno del Partito Popolare Svedese.
Nel frattempo, Katainen ha una bella gatta da pelare che non riguarda strettamente il nuovo esecutivo: si chiama piano di salvataggio europeo del Portogallo, sul quale la Finlandia deve esprimersi entro il 16 maggio, giorno in cui i ministri finanziari europei hanno fissato l’incontro per ratificare l’accordo. Il pressing di Bruxelles comincia con tre settimane d’anticipo: dalla Commissione piovono inviti affinché Helsinki esprima la sua posizione. Per Katainen non è una situazione semplice: il suo partito è favorevole, i Veri Finlandesi contrari, i socialdemocratici hanno una posizione più sfumata. Ma Bruxelles sembra non poter aspettare e Katainen non può evitare a lungo di affrontare il problema.
Il piano di salvataggio europeo del Portogallo ha del resto caratterizzato la campagna elettorale, e a urne chiuse si sapeva che avrebbe fatto da ago della bilancia nella formazione del nuovo governo. Così quando Partito di Coalizione Nazionale e Socialdemocratici hanno annunciato un accordo per dare il via libera al finanziamento, è arrivato il primo colpo di scena. I Veri Finlandesi guidati da Timo Soini decidono di abbandonare i colloqui. La notizia arriva il 12 maggio e rivoluziona lo scenario. “Si è trattato di una decisione difficile. Sarebbe stato bello essere parte del governo, ma non puoi tradire te stesso” dice Soini a caldo. Molti commentatori esprimono perplessità: i Veri Finlandesi hanno ottenuto il 19% e i sondaggi di maggio li danno ancora in salita: molti elettori potrebbero sentirsi traditi.
Ma Katainen va avanti, forse non così dispiaciuto per l’uscita di scena di un compagno piuttosto scomodo. Senza perdere tempo, mette intorno al tavolo cinque partiti: Partito Socialdemocratico, Lega Verde, Partito Popolare Svedese, Cristiano Democratici e ovviamente il suo Partito di Coalizione Nazionale. Così inizia la seconda e nuova fase dei colloqui. La maggioranza parlamentare sarebbe di 112 su 200: ancora abbondante. Sembrerebbe solo questione di giorni, invece i colloqui vanno insolitamente per le lunghe. Uno dopo l’altro affiorano problemi. All’inizio sono i socialdemocratici a chiedere che nell’esecutivo che va formandosi entri l’Alleanza di Sinistra; Katainen accetta e anche così Paavo Arhinmäki trova un posto a tavola. Poi tocca ai Verdi, che minacciano di far saltare tutto se non si trova un accordo sulla riforma elettorale. Ma il vero scoglio si chiama tasse: è su questo che Socialdemocratici e Partito di Coalizione Nazionale si avvitano. La contesa è a due, gli altri partiti finiscono sullo sfondo.
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