Emergenza demografica al Sud: ripartire dalle donne
A dicembre si è svolto in Sardegna un convegno dall’emblematico titolo: La Sardegna senza Sardi.
L’emigrazione delle popolazioni locali dalle regioni del Sud è oggi una vera emergenza e avviene al ritmo quasi dell’Italia pre-unitaia. Se si vuole invertire la rotta bisogna tornare a scommettere nelle donne, oltre che rilanciare l’economia dei territori del Mezzogiorno con un valido piano industriale
Per chi non ne fosse al corrente, nel mese di dicembre dell’anno appena passato, in Sardegna, e più precisamente a Sassari e a Cagliari, si sono tenuti due convegni dall’emblematico titolo:” La Sardegna senza Sardi”. Al centro del dibattito la fuga dei residenti dall’isola, sopratutto tra i più giovani, una piaga questa vissuta con sì tanta intensità solo nel periodo del Risorgimento e del dopoguerra, e che oggi riemerge con tutta la sua veemenza complice la crisi economica.
La Sardegna senza Sardi, dunque, non rappresenta un semplice titolo dato ad eventi, ma più concretamente una prospettiva reale che gli studiosi stanno prendendo molto sul serio, anche per i suoi effetti nel territorio in questione, sia su larga scala: si prevede, infatti, che da qui al 2060, se il trend non dovesse fermarsi, l’isola bagnata dalle cristalline acque del Mediterraneo avrà perso circa il 20-25% dei suoi residenti. Il demografo Massimo Livi Bacci,
professore di Demografia presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze,
è convinto tuttavia che il rinnovato fenomeno emigratorio dei ‘tempi moderni’, non riguardi la sola Sardegna, ma investe la totalità delle regioni del Sud: nei prossimi trent’anni, spiega il demografo, l’emergenza demografica coinvolgerà infatti tutte le realtà del meridione, e si prevede che all’alba del 2050 la Sicilia avrà perso dal 6 al 10% dei suoi residenti, la Campania oltre l’8 e la splendida regione di Matera, la Basilicata, più del 15%. Al di là delle previsioni, statisticamente invece è possibile già rivelare nel dettaglio ciò che nella realtà dei fatti è accaduto; le stime riferiscono infatti che negli ultimi vent’anni le emigrazioni hanno privato le regioni del Sud di oltre tre milioni dei suoi residenti, e il fenomeno, a ben vedere, coinvolge sopratutto giovani e laureati, costretti a cambiar vita dall’incedere dei colpi dell’attuale condizione di crisi economica, ma anche è sopratutto da problematiche ormai assuefatte dall’intera realtà politico-istituzionale del Meridione. Evitare dunque che il declino demografico si traduca conseguentemente in un più sostanziale declino economico-sociale dei territori, è una preoccupazione che la Sardegna condivide quindi con tutta la realtà del Mezzogiorno; necessario sarà dunque trovare politiche capaci di invertire il trend della parabola discendente che ormai investe senza tregua il Sud Italia da dieci anni a questa parte, con un ritmo quasi ai livelli dell’Italia pre-unitaria, una problematica questa che non può per ovvie ragioni non avere conseguenze poi nell’intera economia del Paese, sia nei suoi aspetti squisitamente economici e produttivi, sia nei suoi aspetti, abbiamo visto, più strettamente sociali. Per quanto se ne possa dire, infatti, all’alba del 2000, le regioni del Sud Italia e quelle della Germania Orientale, il Brandeburgo per intenderci, erano perfettamente speculari dal punto di vista economico, con un reddito pro-capite di circa 15mila euro per singolo individuo; oggi, invece, lo spread è tutto a favore dei tedeschi, con una differenza di circa 5mila euro pro-capite. Se si vuole ripartire, spiega il demografo, bisogna dunque sopratutto guardare e favorire l’alto tasso di natalità delle regioni del Sud, ricominciare più concretamente dalle nuove generazioni su cui ricadrà la responsabilità del ‘nuovo’ Mezzogiorno. Livi Bacci spiega che la chiave per invertire questa tendenza sarà dunque il ruolo che le donne occuperanno nella società del domani; se si vuole scongiurare un nuovo esodo dal Sud, che più di ogni altro territorio in Italia, ma anche nell’intero continente, soffre i colpi della crisi economica, ma anche di problematiche ormai penetrate nei più profondi aspetti della sua stessa realtà sociale, si dovrà quindi ‘scommettere’ nuovamente sul ruolo delle donne, valorizzandone il lavoro sia dal punto di vista squisitamente economico, sia per le sue ricadute nel tessuto sociale. Si dovranno favorire politiche che aiutino le donne nell’inserimento nel mondo del lavoro, un bisogno questo inoltre dettato dalla stessa realtà contingente che obbliga ormai ogni famiglia ad avere almeno due fonti di reddito se si vuole crescere un figlio con una certa serenità, senza privarlo di bisogni e necessità.
Indispensabile sarà dunque tornare a spendere in queste regioni in formazione ed istruzione, sopratutto nelle donne, ma oltre ciò, spiega ancora Livi Bacci, è necessario che l’establishment, tanto centrale, quanto locale, avanzi un piano industriale che investa capitali in questi territori assumendosi anche dei ‘rischi’ che per ovvie ragioni il settore privato non può più permettersi.
Le differenze che hanno consentito ai nostri ‘amici tedeschi’ di superarci dal punto di vista del reddito pro-capite di oltre 5mila euro in soli pochi anni, quando all’alba dell’introduzione dell’euro nelle nostre vite (1gennaio 2002) la ricchezza pro-capite delle famiglie italiane anche del Sud era di gran lunga superiore a quella della ‘Grande Germania’, stanno, spiega ancora il professore, proprio nelle politiche d’investimento in settori chiave che il popolo teutonico ha affrontato, dalla farmaceutica, all’industria dell’auto, dall’alimentare al terziario, realtà nei quali le donne tra l’altro recitano un ruolo fondamentale ed essenziale, mentre nello stesso periodo l’Italia ha visto crollare davanti ai suoi occhi investimenti per oltre il 47% ,in pratica per ogni settore, e nei quali le donne, basta guardare le statistiche, non hanno più spazio. Al momento attuale in comune con la Germania sembrerebbe esserci infatti solo la moneta.