Referendum Svizzera: a rischio accordi sull’energia elettrica
Referendum Svizzera: a rischio accordi sull’energia elettrica
Dopo l’esito del referendum di domenica, sulla libera circolazione dei lavoratori, non si è fatta attendere una prima risposta dell’Unione Europea. Il governo svizzero, obbligato dall’esito delle consultazioni promosse dall’ultra destra di Toni Brunner, ha a disposizione tre anni per elaborare ed attuare una legislazione volta a limitare gli ingressi di lavoratori provenienti dall’UE. Da Berna avevano avvertito i propri cittadini sui probabili esiti della vittoria del “sì” al “tetto per i comunitari” – già due anni fa era stato introdotto un limite per i lavoratori provenienti da 8 paesi dell’Europa Orientale e Centrale – ma nonostante i moniti riguardanti le possibili ricadute sulla diplomazia europea: il referendum è passato con un risicato 50,3% dei voti favorevoli, anche se in alcuni cantoni la “lotta all’immigrazione” ha riscosso un successo, da molti definito, “plebiscitario”.
Da Bruxelles, come prevedibile, l’esito del referendum sancito delle urne non è stato accettato: era probabile che la messa in discussione di un vero e proprio “precetto sacro” dell’Unione come la “libera circolazione dei lavoratori” – già due anni fa al momento dell’approvazione della norma che regolamentava l’ingresso di cittadini dei paesi dell’est, la Comunità Europea aveva condannato la decisione – avrebbe messo in moto una serie di “rappresaglie” politiche.
Oggi l’Unione Europea, infatti, “alla luce della nuova situazione che si è venuta a creare” ha deciso di interrompere i negoziati sull’Elettricità con la Svizzera: l’ha affermato Pia Ahrenkilde, portavoce dell’esecutivo europeo, in quanto il referendum svizzero rappresenterebbe una “potenziale violazione degli accordi” precedentemente firmati.
Annulato il negoziato tecnico previsto per il 17 Febbraio, quindi, la Ahrenkilde ha dichiarato che la continuazione del dialogo sull’elettricità con la Svizzera è legato a “questioni istituzionali”, in sostanza, il gesto, non è altro che un messaggio politico: la minaccia rivolta alla confederazione consiste nel mancato ingresso al mercato unico dell’energia, che consentirebbe a Berna di entrare nella Borsa Elettrica e usufruire delle reti energetiche comunitarie, in caso di conferma del percorso legislativo iniziato con il referendum.
I negoziati erano cominciati nel 2007: il loro scopo era di integrare il paese elvetico all’interno del mercato interno europeo dell’energia, assicurandosi che la Svizzera applicasse le regole europee in particolare riguardo al “terzo pacchetto energia” che prevede la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico.
Il raggiungimento di un accordo era giudicato molto importante da entrambe le parti, sembra che i passi più significativi fossero stati fatti proprio durante l’anno appena trascorso. Nonostante i “maggiori azionisti” della Comunità, in primis Italia e Germania, abbiano definito la scelta svizzera come “preoccupante”, la reazione dura e netta di Bruxelles sembra giustificata dal fatto che, il referendum elvetico “anti-immigrazione”, sembra suscitare sempre più consenso: in Norvegia sono molti i movimenti, di area conservatrice e nazionalista, pronti a imitare l’Udc di Brunner. La Norvegia come la Svizzera non fa parte dell’Unione Europea, anche se a livello di accordi economici e in generale di collaborazione è molto meglio integrata, ma l’esempio di domenica comincia a riscuotere successo nel Regno Unito, per esempio, ma anche in Austria, nonostante i 40mila cittadini di Vienna che lavorano in Svizzera e che verranno investiti dalle leggi sul “tetto per i comunitari” .
Da Bruxelles si vuole mettere in chiaro il concetto, dunque, alla “libera circolazione dei capitali” deve corrispondere la “libera circolazione delle persone”: o si prende il “pacchetto intero” oppure non si “usufruisce di alcun vantaggio economico”.