Al ritorno, dopo una settimana di lavoro da inviato in Sud Sudan, le notizie, ancora una volta, non sono confortanti. Da Addis Abeba si apprende che non accennano a sbloccarsi i negoziati tra le delegazioni del governo di Juba ed i ribelli sud-sudanesi raccoltisi intorno alla figura dell’ex vice-presidente Riek Machar. Questi ultimi hanno anzi minacciato di lasciare il tavolo delle trattative qualora non si trovi una soluzione immediata sul tema dei prigionieri politici ancora detenuti a Juba.
Queste notizie, che non fanno immaginare una tregua duratura, o almeno un cessate il fuoco nel breve periodo, sono quelle che avevo dedotto anche da come si muovevano le cose sul terreno. Vero è che i governativi sono ritornati a controllare le tre città più importanti di questo conflitto, cioè Bor, Bentiu e Malakal. Ma è altrettanto vero che i ribelli rendono insicure le strade che portano a queste città e, sostanzialmente, le mettono in una condizione di assedio e di isolamento dato che sono in grado di attaccare convogli e impedire rifornimenti e commerci.
E’ una storia vecchia. Le guerre vanno così fin dai tempi antichi e vengono vinte solo da chi controlla il territorio in modo integrale o quasi.
Ciò significa che la guerra in Sud Sudan è tutt’altro che finita, anzi, forse, ha raggiunto quella situazione in cui le parti sono in stallo, nessuno dei due è in grado di vincere. Questa è la situazione peggiore per i civili che invece non possono sopportare un paese paralizzato. Secondo gli ultimi drammatici dati forniti dalle agenzie umanitarie circa il dieci per cento di tutta la popolazione Sud Sudanese è ormai sfollata, in fuga, in cerca di rifugio.
Questa sarebbe anche la situazione migliore per un negoziato. Quando nessuno può vincere a tutti va bene un compromesso. Ma in Sud Sudan la situazione è più complessa. Sia il presidente Salva Kiir che il suo rivale ed ex vice presidente Riek Machar non possono accettare, come mediazione, meno di ciò che avevano già e le carice di capo dello stato e vice sono già le più alte. Cosa si può offrire loro?
Ecco allora che ai mediatori internazionali, che per ora sono i paesi regionali dell’IGAD, spetta un compito difficile: far capire ai due che il loro tempo è finito e che sarebbe utile una loro uscita di scena. Allo stesso tempo però bisogna avere individuato una personalità (possibilmente di etnia Non Nuer e Non Dinka) o un gruppo di personalità non troppo compromesse da far entrare in scena.
Come dicevo, dopo una settimana sul posto, mi sembra di capire che siamo ancora lontani da una soluzione negoziata. Che dalla capitale etiope non arrivino buone notizie è comprensibile. Così il bilancio di questa settimana da inviato, purtroppo per il Sud Sudan, non è confortante.
Se poi a questa situazione di paralisi si aggiunge che quanto più la guerra si trascina tanto più è possibile che le potenze regionali (e non solo) comincino a sponsorizare una o l’altra parte per ottenere a fine guerra magari delle relazioni economiche e commerciali vantaggiose da parte del vincitore. Insomma, sperando di sbagliarmi, dal Sud Sudan non torno con buone notizie.