Primarie Usa: il punto dopo la South Carolina
[ad]Altro fattore su cui bisogna riflettere, come di sicuro starà facendo il diretto interessato, è la reale capacità di Mitt Romney di convincere l’elettorato conservatore, specialmente nel Sud degli Stati Uniti, della sua credibilità come candidato vincente a livello nazionale nello scontro che lo opporrebbe al Presidente Obama in novembre. Fino a questo punto, questa sua credibilità era stata una dei punti di forza del messaggio di Romney e i risultati di Iowa e New Hampshire avevano gonfiato le vele di una campagna che sembrava non poter conoscere rivali. La reazione degli elettori della Carolina del Sud alla sua provenienza dall’elite economica del laico e progressista nord-est del Paese, aggravata probabilmente da una fede mormona guardata con sospetto e dalla reiterata volontà di non pubblicare la propria dichiarazione dei redditi, ha giocato un brutto scherzo alla gioiosa macchina da guerra di Romney. Il candidato è apparso chiaramente scosso dai risultati della Carolina, che sicuramente non prevedeva così amari. Le sue ricette economiche e le sue credenziali di uomo d’affari di successo non hanno convinto gli elettori del Sud, che pure dichiarano, come visto, di ritenere le questioni economiche le più importanti nel determinare le proprie preferenze. Tutto ciò impone a Romney una seria messa in discussione della sua strategia e a quanto pare le sue prime mosse all’indomani della sconfitta in Carolina del Sud vanno, almeno in superficie, in questa direzione. L’ex governatore del Massachusetts, a differenza di quanto dichiarato fino ad ora, ha infatti reso pubbliche tutte le informazioni sul suo reddito e i suoi versamenti al fisco americano. Una mossa che probabilmente intende frenare l’effetto domino a vantaggio di Gingrich che dalla Carolina del Sud potrebbe riversarsi verso la Florida, prossima tappa della sfida. In Florida, Romney sembra ancora godere di un qualche vantaggio, ma l’evoluzione disastrosa dell’ultima settimana di campagna in Carolina del Sud dovrebbe insegnargli che dilapidare anche un consistente vantaggio non è poi così difficile, soprattutto in una competizione come le primarie, in cui l’elettorato è particolarmente fluido.
Infine, una riflessione si impone sul ruolo di uno strumento come i sondaggi nel corso di questa come di precedenti competizioni interne ai partiti americani. Chiunque abbia seguito la storia anche solo di questi ultimi mesi di campagna avrà visto succedersi una pletora di candidati sulla virtuale poltrona di favorito alla nomination presidenziale. Da quest’estate in poi i media americani ci hanno raccontato delle mirabolanti ascese nei sondaggi di Herman Cain, Michelle Bachman, Rick Perry e altri, tutte rivelatesi sontuose bolle di sapone esplose fragorosamente al primo ostacolo incontrato dal favorito di turno. Allo stesso modo, gli istituti di ricerca che monitorano il consenso elettorale ci hanno raccontato fino a una settimana prima delle elezioni che Romney sarebbe stato praticamente imbattibile in Carolina del Sud. E i risultati reali di sabato sera commentano da soli quelle previsioni. A questo punto è bene chiedersi quanta credibilità è possibile attribuire a queste analisi, soprattutto nel contesto delle primarie, in cui fino all’ultimo minuto non è facile capire quanta gente andrà a votare nè la loro identità e in presenza di vaste porzioni di elettorato che effettivamente decidono per chi votare nelle ultime ventiquattro ore. Di conseguenza, sebbene Mitt Romney sia ancora il candidato favorito in Florida, è bene che non si faccia cogliere impreparato da quelle che potrebbero essere nuove e forse ancora più disastrose sorprese.