Sud Sudan, Mission Intersos: il pericolo delle generalizzazioni
Qualche settimana fa ho criticato su questo blog l’organizzazione non governativa per la cooperazione internazionale Intersos, per il fatto che si è prestata ad apparire nella controversa trasmissione RAI “Mission”. Continuo ad essere fermamente critico su quella vicenda e sugli scopi della trasmissione, ma allo stesso tempo ritengo doveroso fare un elogio a Intersos per il modo con il quale li ho visti lavorare in Sud Sudan, in particolare a Juba nell’assurdo campo profughi che è stato allestito nel centro di questa città all’interno di un compound delle Nazioni Unite.
Il campo si chiama Tomping ed è quanto di più surreale mi è capitato di vedere in anni di viaggi in Africa. Tomping è un campo di circa ventimila persone tutte di etnia nuer che si sono rifugiate nel compound dell’Onu dopo che in città era scoppiata la guerra tra le truppe lealiste del presidente di etnia dinka Salva Kiir, e quelle ribelli dell’ex vice presidente di etnia nuer Riek Machar.
Questi ventimila nuer adesso sono prigionieri, di fatto, nella loro città che ormai non possono più abitare. Se uscissero verrebbero massacrati ad uno a uno dalle truppe governative o dalla popolazione che è tutta di etnia dinka. Come si può capire la situazione all’interno del campo è molto dura. Sia dal punto di vista umanitario, sia dal punto di vista della tensione.
A Tomping tutto si svolge all’interno di percorsi di filo spinato e alcune immagini ricordano in modo inquietante i lager nazisti della seconda guerra mondiale. In questo inferno ho visto lavorare con abnegazione il team di Intersos. Li ho ammirati per la competenza professionale, per la capacità di muoversi e per l’umanità che sanno mettere nei rapporti con questi profughi e con il giornalista, il sottoscritto, al quale hanno permesso di visitare il campo.
Ho ritenuto doveroso rendere pubblica questa mia valutazione non tanto per riparare alle mie critiche a “Mission” e a Intersos, che del resto rimangono. Ma piuttosto per ricordare (e per ricordarmi) che le generalizzazioni non fanno mai onore alla verità.