Pessato (SWG): “Quale peso per i sondaggi con l’Italicum?”

Pubblicato il 14 Febbraio 2014 alle 14:38 Autore: Gabriele Maestri
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Pessato (SWG): “Quale peso per i sondaggi con l’Italicum?”

Nei palazzi della politica il clima è ormai quello della staffetta governativa Letta-Renzi, tutta interna al Pd. In molti vedono allontanarsi la data delle elezioni, ma la partita della legge elettorale resta aperta: l’Italicum ha appena iniziato il suo percorso parlamentare e sarà discusso proprio mentre al governo probabilmente arriverà colui che, insieme a Berlusconi, lo ha voluto con maggiore forza.

Tra le tante partite che si aprono sulla nuova legge, c’è anche quella dei sondaggi, uno strumento che nel 2013 era finito nell’occhio del ciclone a causa degli errori nelle previsioni. Il tentativo di capire, attraverso le rilevazioni demoscopiche, se un partito sarà in grado o meno di superare la soglia di sbarramento o se una coalizione potrà vincere al primo turno, potrebbe concentrare ancora maggiore attenzione sui sondaggi, magari col rischio di chiedere loro risposte che non dovrebbero dare. Di questo e altro ancora parliamo con Maurizio Pessato, presidente di SWG.

Presidente Pessato, non è ancora chiaro se si voterà con l’Italicum, ma in quel contesto – tra soglie di sbarramento e di accesso al premio – i “numeri” finiranno per contare più di prima. Il ruolo dei sondaggi diventa più delicato?

Sicuramente, perché ci sono diversi elementi. Uno è appunto quello delle diverse soglie di sbarramento, cui si aggiunge la variabile territoriale, quella legata alla “clausola salva-Lega” per intenderci. Su questa base, è chiaro che si possono determinare valutazioni di vittorie o non vittorie, di solidità maggiore o minore delle coalizioni, come pure sulla composizione della maggioranza e delle opposizioni. Da un lato il proporzionale aiuta a leggere le cose, è più facile rispetto a un sistema a collegi; dall’altro l’indicazione corretta rimane difficile. Certo, rispetto al Porcellum c’è comunque un vantaggio: per lo meno non c’è più il premio di maggioranza regionale al Senato, che l’anno scorso ci ha “fatto ballare”. Dunque, immaginando un sistema proporzionale, con una sola Camera elettiva, con base comune, senza più l’incognita del premio regionale al Senato, si eliminerebbe una possibilità di errore.

In un momento in cui per vari partiti le soglie sembrano molto alte e le coalizioni cercheranno di superare subito il 37% per evitare il ballottaggio, non c’è il rischio che siano proprio i sondaggi a spostare voti determinanti?

Io non credo, visto che tutte le scelte devono essere fatte prima. E’ vero, ci sono pure sondaggi “preventivi”, come quelli fatti ora, ma su questo le forze politiche sono abbastanza “esperte”, conoscono il loro elettorato. Io sento già, per dire, che il Nuovo centrodestra potrebbe pensare di presentare liste comuni con l’Udc, che a sua volta conosce già il suo valore: un po’ perché c’è il dato delle elezioni del febbraio 2013 (un valore che non è lontano da quello di oggi), un po’ perché, anche se i rapporti tra partito e territorio sono più limitati rispetto a un tempo, hanno comunque stime e sensazioni sui voti. Ecco perché i giochi si fanno prima: la Lega ad esempio sa che è attorno alla soglia di sbarramento, ma se la giocherà e basta, senza andare a cercare altro, anche per la sua configurazione. Alcuni partiti di centro e di sinistra, invece, sanno che devono andare a un’alleanza. Rifondazione, per dire, non ha bisogno di sondaggi per sapere che non può aspirare al 4,5%…

E men che meno all’8%…

Esatto. Sel può forse sperare di arrivare al 4,5%, ma è un po’ difficile. Questa consapevolezza dei partiti, dunque, c’è, per cui non credo che i sondaggi in questa fase influiscano molto. Possono invece influire sull’elettore dopo, una volta fatte le coalizioni che al loro interno abbiano questi partiti borderline, che possono scegliere se unirsi ad altre formazioni o sperare di superare da soli la soglia prevista: in quelle condizioni, sapere se una di quelle forze in base ai sondaggi è vicina allo sbarramento o molto al di sotto può convincere qualcuno dell’opportunità di dare fiducia al partito più piccolo per fargli ottenere i seggi o, al contrario, di non disperdere il voto e di rafforzare il partito maggiore della coalizione. Questo, in piccola parte, potrebbe accadere.

elezioni amministrative urna elettorale

Nei mesi scorsi i giornalisti si sono prodigati nelle domande più inverosimili a chi si occupa di sondaggi, compreso quanti voti avrebbero spostato l’arrivo al Milan di Balotelli o le dimissioni di Benedetto XVI. I media hanno travisato almeno in parte il ruolo dei sondaggi?

Sicuramente sì, ci “usano bassamente”. Come sempre, nei confronti dei sondaggi c’è un rapporto di natura schizofrenica, da manuale: da una parte vengono usati come strumento dei loro scoop per tenere alta la tensione e produrre ogni giorno gossip, negando dunque valore scientifico e professionale a quelle rilevazioni…

Si può dire che quei sondaggi sono inutili o addirittura pericolosi?

Diciamo che quel tipo di domande non dovrebbe avere risposta: nei limiti del possibile io cerco di non rispondere, magari su “quanti voti vale” una battuta di cattivo gusto o un determinato intervento; ogni tanto però ci si trova in mezzo ed è un po’ difficile sfilarsi. Da una parte, dunque, c’è questo sfruttamento pro-gossip; dall’altra, però, sono proprio i media a volere a tutti i costi i numeri, danno loro molta importanza, quasi si abbeverano a questi numeri. In qualche misura, dunque, accreditano la capacità di chi fa sondaggi di dare i numeri giusti.

Un’importanza che, però, i numeri non dovrebbero avere.

Appunto: il vero problema che chi fa questo mestiere ha sempre avuto è questo doppio ruolo di strumento sfruttato e di “fonte della verità”. E’ difficile stare nel mezzo e rivestire semplicemente il ruolo di professionisti, che hanno un margine di errore, che studiano, che possono dare valutazioni nel complesso corrette pur con margini di errore, oppure fare previsioni che in parte non sono confermate. Questa però è la stessa cosa che succede nel campo della scienza, della medicina, dell’economia e di altre discipline.

classifica istituti sondaggio

Top 5 Istituti per Precisione relativa – Ultima rilevazione prima delle Politiche

Termometro Politico ha appena divulgato un proprio studio sulla precisione degli istituti di sondaggio, relativo alle elezioni politiche del 2013: SWG è risultata prima nella classifica di precisione relativa (sulle percentuali) riferita agli ultimi giorni di diffusione sondaggi, come pure nelle graduatorie di precisione assoluta (sui voti), riferite sia agli ultimi giorni di sondaggi sia all’ultimo mese. Come commenta questi dati? 

Credo che questo risultato possa riconoscere il frutto del lavoro condotto sugli indicatori indiretti, che possono poi confermare i risultati ottenuti dalle indagini dirette. L’esempio di Grillo è il più lampante: se si ha un quadro della società di un certo tipo, quando si ottiene un dato molto forte del M5S, si tende a dargli credito.

Che valore può avere quest’attività di elaborazione e analisi dei sondaggi da parte di Termometro Politico?

Un’attività come la vostra può avere un valore intanto “educativo”, perché offre dati in maniera chiara: spesso i media sono travolti da notizie, informazioni, e magari capita che il dato di un istituto sia mal riportato o attribuito ad altri soggetti, mentre  una realtà che riproponga sistematicamente tutti i sondaggi è un punto di riferimento. Avere tutti i dati a disposizione consente dei confronti. Certo, l’obiettivo in sé non è tanto la media dei sondaggi, ma capire che dietro alle differenze nei risultati ci sono diverse professionalità e diversi approcci alle questioni: sono dunque accettabili le differenze perché non c’è una “verità”, ma vari modi di approssimarsi alla realtà, nonché maggiore o minore capacità di cogliere elementi che possono dare un risultato. Pensi alle elezioni regionali, in cui c’è il voto al candidato presidente e quello ai partiti: il peso che ogni sondaggio dà alla disgiunzione dei due voti basta a giustificare le differenze di risultati; in altri casi pesano molto anche altri fattori, come le “scale” e, ovviamente, il testo della domanda. Se poi le differenze vanno oltre un certo limite, un lavoro come il vostro può essere interessante perché può cercare di capire quali sono le ragioni che hanno prodotto quello scarto così rilevante.

E sugli studi relativi alla precisione dei sondaggi, cosa si può dire?

Credo sia un’attività importante, secondo me aiuta a dare valore al settore e a quello che facciamo. A caldo, a urne appena chiuse, si tende a svalutare il ruolo dei sondaggi, dando peso soprattutto agli errori; guardandoli a freddo, si capisce che hanno una loro capacità di indicazione, fermi restando i margini di errore. Per questo, i lavori come i vostri restituiscono ai sondaggi il loro valore, soprattutto con riguardo alle fasi di avvicinamento alle elezioni: per noi è importante, dimostra che non si vende fumo.

Alle prossime elezioni si riproporrà il problema del “silenzio pre-elettorale”, ossia del divieto di diffondere i sondaggi nei 15 giorni che precedono il voto, anche se poi nel 2013 hanno continuato a circolare sotto forma di corse di cavalli o riunioni di Conclave. Come legge questa situazione legata al “silenzio”?

Mah, la leggo come una situazione fortemente asimmetrica e ormai arcaica, soprattutto nell’epoca della Rete. Alle europee, tra l’altro, sarà molto divertente: il black out vale solo per i sondaggi italiani sull’Italia, non per quelli stranieri… A parte questo, mi rendo conto che c’è molto rumore, molta strumentalizzazione, molta faziosità, che poi è un tratto culturale nostro, più che in altri paesi europei: a questo punto, si potrebbe dire che, se da sempre si è chiusa la campagna elettorale il venerdì sera prima delle elezioni, è ragionevole che il venerdì sera si interrompa anche la diffusione dei sondaggi. Messa in questi termini la questione è accettabile, non sembra più una censura o una strana preoccupazione: i sondaggi non sono esattamente un elemento di campagna elettorale, ma questa scelta sarebbe conforme alla storia italiana, un compromesso rispetto a paesi come la Gran Bretagna in cui si diffondono sondaggi fino alla mezzanotte del giorno che precede il voto. La situazione odierna, invece, mi sembra davvero anacronistica: sono convinto che non siano i dati dei sondaggi a influire davvero sull’esito elettorale negli ultimi giorni, o per lo meno che non lo facciano più di anchorman televisivi o titoli cubitali su una rete di quotidiani locali.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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