Un grande pericolo per l’economia italiana: l’invecchiamento della popolazione
Il grande pericolo per l’economia italiana: l’invecchiamento della popolazione
Un recente studio afferma che un concreto pericolo per la nostra economia e struttura sociale è rappresentato dall’invecchiamento demografico. L’Italia insieme al Giappone è il Paese con il tasso di crescita anagrafica più alto al mondo, con inevitabili ripercussioni nella spesa pubblica e disagio sociale.
“L’Italia non è un Paese per giovani”, si sente spesso ripetere, come poi se ammettendo la realtà di fatto, fosse possibile esorcizzarne le conseguenze che un tale fenomeno produce nel sistema sociale e, inevitabilmente, nel sistema economico e produttivo. Sì, perchè se un Paese invecchia, l’età media avanza, il numero dei pensionati accresce a discapito della popolazione in età lavorativa attiva, c’è poco da dire ( e molto da fare), questa tendenza è molto più preoccupante e concretamente pericolosa persino dell’attuale stato di crisi economica tanto italica, quanto internazionale. E ciò che sostengono diversi filosofi ed economisti come Maurizio Zenezini, docente di economia presso il Dipartimento di scienze economiche e statistiche dell’Università di Trieste, che qualche anno fa, nel 2008, ha redatto un documento-studio, rintracciabile su internet, e pubblicato solo pochi giorni fa anche dal Giornale dell’Università di Padova, dal titolo ‘Invecchiamento della popolazione, crescita, occupazione‘, nel quale si documenta, anche attraverso l’impiego di equazioni matematiche, che il cambiamento nella distribuzione della popolazione, tanto globale, quanto italiana, lo sbilanciamento della popolazione verso le classi di età più anziane e la contrazione della partecipazione al mercato del lavoro, sopratutto tra i più giovani, sarà ciò che inevitabilmente si ripercuoterà sul bilancio pubblico, impoverendolo quasi ad un livello di irreversibilità.
Recenti studi e ricerche da parte dell’Istat confermano infatti che in Italia, che insieme al Giappone è il Paese al mondo ad avere il più alto tasso di crescita anagrafica, le famiglie tendono a essere sempre meno numerose, e se nel 1971 la media era di tre componenti ogni nucleo familiare, nel 2011 la media era già diminuita a due. Una tendenza, questa, che si è registra in tutto il territorio nazionale, con quote inferiori rispetto alla media nel Meridione e nelle isole, e superiori in Liguria, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia. Altre statistiche, questa volta dell’ONU, confermano il preoccupante dato secondo il quale entro il 2060 il Bel Paese, più delle altre grandi economie occidentali, avrà una popolazione over 80′ che costituirà il 22% della popolazione totale della nazione, contro il 10% ( un livello di per sé già alto) che si è registrato invece con l’inizio del secolo. Si tratta, dunque, di una vera e propria emergenza demografica, di cui ancora poco si parla, e di cui per forza di cose, data l’ineluttabilità contingente del problema, ogni Stato dovrà farsi carico. I principali motivi di preoccupazione per gli studiosi sono facile da dedurre: innanzitutto il forte e progressivo sbilanciamento demografico verso la ‘terza età’, necessariamente comporterà una crescita anche della spesa previdenziale e sanitaria, con inevitabili ricadute nei bilanci dello Stato. Un documento redatto nel 2010 dal Pew Research Center conferma infatti che nel panorama internazionale è proprio il Bel Paese a spendere già la quota maggiore del proprio prodotto interno lordo (PIL) per le spese previdenziali, circa il 16%, seguita dalla Francia con il 14%, Germania e Spagna ferme al 11%, e, nonostante ci sia a fianco per età media, dal Giappone con una spesa del 10%. Se questa è la situazione oggi, stando all’analisi del centro studi nei prossimi 40 anni la spesa sarà destinata quindi ad aumentare sia in Italia, che a livello mondiale, tranne che in Messico e in India. Anche altri Paesi in via di sviluppo come Brasile e Russia vedranno accrescersi la spesa assistenziale e previdenziale di circa il doppio rispetto a quanto già fanno oggi, raggiungendo nel 2050 una spesa di circa il 17% del Pil, mentre l’Italia si piazzerà a quel tempo “solo” al terzo posto. Ma, come si diceva, l’avanzamento dell’età anagrafica della popolazione si può ben dire che comporterà per tutte le economie più avanzate, Italia in testa, un vero e proprio ‘effetto domino’ con esiti quasi tutti negativi; lo sbilanciamento della popolazione verso una classe di età più avanzata, comporta, come già possiamo abbondantemente osservare, un’inevitabile contrazione della partecipazione delle classi più giovani al mercato del lavoro e la ragione è semplice da dedurre: proprio per evitare un rialzo della spesa previdenziale ed assistenziale le politiche ( un po’ miopi) tendono infatti ad alzare l’età pensionistica, sfavorendo in tal modo naturalmente il cd. ricambio
generazionale. A ciò si aggiunga inoltre le conseguenze che investono la ‘produttività’ come tale; se ovviamente la forza lavoro impiegata nella produzione, tanto manufattoriera, quanto ‘intellettuale’, avanza per età anagrafica, non ci vuole poi Archimede per capire che ineluttabilmente, nonostante l’impiego delle tecnologie che saranno sempre più potenti (che a ben vedere rappresentano un altro rischio concreto per l’incapacità di assorbire forza lavoro) la produzione sarà più lenta, dunque si ‘crescerà’ di meno. Non solo, ma considerando i punti appena sopra analizzati, non è difficile poi prevedere una contrazione anche delle attività imprenditoriali, di cui normalmente sono i più giovani ad essere portatori, così come della tendenza al risparmio, coinvolgendo in tal modo anche il sistema bancario, impoverito per l’appunto dalla riduzione dei depositi.
Se questi accenni rappresentano solo le implicazioni economiche che il progressivo invecchiamento della popolazione comporta ad un Paese, interessante è anche dare uno sguardo alle conseguenze sociali. Tra queste, ad esempio, l’aumento delle famiglie con un solo componente, che in Italia sono già una su tre, e il conseguente aumento del numero di anziani che vivono da soli, con tutti i bisogni legati alla salute e alla cura della persona che ne conseguono. Un recente rapporto dell’ISTAT del 2012 conferma infatti che con il mutamento della popolazione, uno dei settori nel panorama del mercato del lavoro che ha mostrato maggiore vitalità rispetto agli altri, un po’ depressi, è proprio quello dell’assistenza sociale, con una crescita tra il 1992 e il 2010 di quasi il 96%. Gli anziani assistiti a domicilio, nel primo decennio del nuovo secolo, sono infatti cresciuti dal 2 al 4% della popolazione. Ma paradossalmente persino i più giovani rimarranno soli; le famiglie oggi formate da una sola persone sono già quasi 7,7 milioni, più del 31% rispetto al 2011, e 2,4 milioni in più rispetto al 2001,con un aumento del 41% in soli 10 anni. Se questa è la società del benessere, allora si può ben dire che sia parecchio contraddittoria.