Come usare religioni ed etnie nei conflitti
Scusate se insisto, ma oggi ho appreso una notizia che riporto perché mi sembra significativa. Da due mesi il capo delle comunità islamiche della Repubblica Centro Africana, l’Imam Oumar Kobine Layama, vive ospite a Bangui dell’arcivescovo cattolico monsignor Dieudonnè Nzapalainga.
La notizia ha una valenza politica e giornalistica perché da alcuni mesi si definisce la crisi centroafricana un conflitto tra popolazione di religione islamica e cristiana. L’ho scritto nel post di ieri e in innumerevoli altri commenti: di solito la religione o le differenze etniche non c’entrano nulla con i conflitti in Africa. Certo, le differenze ci sono e a volte possono anche creare tensioni, ma non producono mai guerre generalizzate.
Quasi sempre invece religioni e differenze etniche vengono usate da chi vuole mutare l’assetto geo politico, oppure non è favorevole agli equilibri commerciali di quel momento e vorrebbe ottenere, a scapito di altri (multinazionali, nazioni, lobby), contratti per lo sfruttamento e la commercializzazione di materie prime.
Quando non ci sono risorse per tutti, e soprattutto quando la popolazione che ne sarebbe prorietaria è quella che ne ha meno di tutti, è facile scatenare l’odio etnico. Ed è facile anche soffiare sul fuoco delle differenze religiose.
Così, nel 1994, in Ruanda per scatenare la popolazione di etnia hutu contro i tutsi si disse loro che una volta sterminati “gli scarafaggi” si sarebbe venuti in possesso delle loro terre, argomento sensibile in Ruanda, paese piccolo, super densamente popolato e con insufficiente terreno per tutti.
Ugualmente si fece in Darfur nei primi anni del duemila: si disse che gli agricoltori del sud, neri e di religione cristiana, volevano lasciare senza terre e senza commerci le popolazioni del nord, di origine araba e di religione islamica. I cosiddetti janjawid, diavoli a cavallo al servizio di Khartoum fecero un massacro per il quale il presidente sudanese Omar Al Bashir fu messo sotto accusa per crimini di guerra dalla Corte Penale Internazionale. Oggi è ciò che sta avvenendo in Centrafrica. La esigua popolazione di religione islamica ha sempre convissuto con il resto degli abitanti.
Informare sul Centrafrica oggi non è raccontare massacri ma cercare di individuare, e smascherare, gli interessi che ci sono dietro un conflitto che viene sempre più caratterizzato come una guerra religiosa.
Se si facesse questo si potrebbero avere delle sorprese. Ci si potrebbe stupire di quanto siano vicini (anche) a noi forze che fanno diventare delle ricchezze culturali, come le etnie, delle diversità negative e come è facile, di fronte a interessi spesso incoffessabili, far diventare “cattive” anche le religioni.
Raffaele Masto