E’ ormai una settimana che sono tornato dal Sud Sudan e, come ho ampiamente raccontato, non mi aspettavo buone notizie. Sul posto mi ero fatto l’idea che le fasi più cruente della guerra dovessero ancora arrivare e, soprattutto, mi attendevo che questo conflitto assumesse i contorni di una guerra di lunga durata, una di quelle classiche guerre nelle quali una parte controlla le città e l’altra il territorio. Sono i conflitti peggiori, quelli che si trascinano lungamente nel tempo e finiscono per essere una macchina che non uccide i combattenti ma i civili divenuti profughi, rifugiati o sfollati interni.
In queste ore dal Sud Sudan stanno arrivando le conferme di quelle pessime previsioni. Ecco le notizie: in una seduta parlamentare a Juba esponenti del governo e del ministero della difesa hanno affermato che le defezioni nell’esercito raggiungono, nelle regioni del nord, circa il settanta per cento degli effettivi. Si tratta di una ammissione che praticamente dimezza le capacità dell’esercito che, se non ci fossero le truppe ugandesi intervenute in suo soccorso, probabilmente capitolerebbe.
Proprio in questi giorni però gli ugandesi, per bocca del presidente Museveni, hanno fatto sapere di non avere nessuna intenzione di andarsene. Salva Kiir dunque può stare certo dell’appoggio di Kampala che, naturalmente, chiederà il conto sotto forma dell’unica ricchezza che il Sud Sudan possiede: il petrolio. Mentre arrivano queste notizie si apprende di un attacco dei ribelli alla città di Malakal, capitale dello stato di Upper Nile. Sarebbero già caduti alcuni importanti quartieri e la presa definitiva potrebbe essere imminente. Malakal era stata riconquistata dai governativi un paio di settimane fa.
L’attacco a Malakal è il primo in grande stile da quando il 23 gennaio scorso è stato formalmente firmato ad Addis Abeba un cessate il fuoco tra le delegazioni del presidente Salva Kiir e quella del suo rivale ed ex vice presidente Riek Machar.
… A proposito, Addis Abeba. Nella capitale etiopica si svolgono ufficialmente le trattative di pace, ma dalle due delegazioni, e dai mediatori arriva un assordante, preoccupante silenzio…
L’ultima notizia non ha una conferma indipendente, ma è la più preoccupante: i ribelli hanno accusato l’esercito governativo di usare “bombe a grappolo” cioè le micidiali “cluster”, proibite dalle convenzioni internazionali. Ovviamente i governativi hanno smentito.