“La gente che sta bene”, il film di Patierno con Bisio e Abatantuono
C’è sempre qualcuno che sta peggio di noi, anche tra quelli che, apparentemente, sembrano star bene. È questo il leitmotiv de “La gente che sta bene”, ultimo film di Francesco Patierno – napoletano, cinquantenne, regista di “Pater familias”, “Il mattino ha l’oro in bocca”, “Donne assassine”, “Cose dell’altro mondo” –, ispirato all’omonimo libro di Federico Baccomo – Duchesne, che al film collabora come sceneggiatore, approvando implicitamente le – peggiorative – modifiche cinematografiche alle pagine scritte.
Dopo una vita da egoista, cinico, arrivista senza scrupoli e, per di più, mezza tacca, l’avvocato Umberto Dorloni – interpretato da Claudio Bisio –, abituato a spedire elegantemente – si fa per dire – a casa i suoi collaboratori, a casa si trova spedito a sua volta. Licenziato improvvisamente dallo studio per il quale lavora da anni, Dorloni si incontra e scontra con una figura di primo piano nel mondo dei poteri forti, l’avvocato Patrizio Azzesi – Diego Abatantuono –, socio di un importantissimo studio legale internazionale che Dorloni aspira a rappresentare a Milano. Azzesi è un personaggio spregiudicato, che già da tempo ha venduto l’anima al diavolo e se ne compiace.
Completano il cast le mogli dei due protagonisti. Quella di Dorloni-Bisio è una Margherita Buy in un personaggio molto più equilibrato di quelli che interpreta solitamente e che alla fine si prenderà una rivincita professionale sul marito. La moglie di Azzesi–Abatantuono è una procace quanto fragile Jennipher Rodriguez, una donna in cerca di una relazione sentimentale autentica, lontano da un marito che non vede l’ora di liberarsi di lei. Proprio il suo personaggio darà involontariamente una grossa spinta alla scoperta da parte di Dorloni di avere una coscienza.
Lo scenario in cui si muovono i quattro è una Milano di professionisti spietati, dominata da individui – politici, industriali, faccendieri – che inseguono il successo ad ogni costo e aspirano a vivere costantemente sulla cresta dell’onda. Una “Milano da bere” che lascia con la gola secca e inaridita chiunque compia un passo falso, in cui bisogna tentare di sopravvivere tra pugnalate alla schiena, tagli del personale e “amicizie” che contano.
Il libro risulta più ironico e divertente del film e non prevede l’improbabile riscatto di cui Bisio si rende protagonista nella versione cinematografica. Ma entrambi instillano lo stesso dubbio: chi è convinto di stare bene sta davvero bene? Amara certezza, sono lontane anni luce le parole di Giorgio Gaber che facevano: “E sto bene, io sto bene come uno quando sogna. Non lo so se mi conviene, ma sto bene, che vergogna”.