Giuliano Amato, una vita politica contrassegnata da numerose cariche, appoggia il rinnovamento. E’ questo quanto emerge dall’intervista concessa dall’ex presidente del Consiglio – attualmente Giudice della Corte Costituzionale – al quotidiano “Corriere della Sera”.
Settantasei anni da compiere a maggio, due volte premier (1992 e 2000), tre volte ministro (due al Tesoro ed una agli Interni) nonché presidente dell’Antitrust dal ’94 al ’97, Amato considera importante il rinnovamento, provando “soddisfazione nell’aver visto confrontarsi alle primarie del PD tre candidati con un età massima di cinquant’anni”. Nell’affermare ciò, non manca una carezza anche all’ex premier Enrico Letta, che “ha quarantasette anni ed un grande futuro davanti”.
Per l’ex consigliere economico di Bettino Craxi il rinnovamento è fondamentale in quella parte di “élite dello stato arteriosclerotizzate”. Pur sottolineando come la burocrazia abbia una sua ragion d’essere, Amato ammette l’esistenza di momenti in cui essa si “autoalimenta”, assumendo caratteristiche patologiche. Ciononostante, il giurista costituzionalista ricorda anche diversi anche gli esempi di burocrazia efficiente ed innovativa, tra cui il New Deal statunitense. Diversi anche gli esempi in Italia: da Alberto Beneduce – che “riformò il rapporto tra Stato ed economia, trasformando l’Italia nei primi decenni del Novecento” – sino ad Oscar Sinigaglia ed Oscar Serpieri. Ed è proprio quella parte di “élite che porta innovazione” a non dover essere colpita dalla necessaria opera di rinnovamento burocratico.
Amato – pur comprendendo come l’Italia, in un momento di necessario cambiamento come quello attuale, percepisca la burocrazia come “un freno” – sottolinea la necessità di “cambiare le regole” ma anche ”le persone e la loro cultura”. In questo, richiama il lavoro di Clinton e Gore negli USA degli anni ’90, che attuarono “un grande piano di riorganizzazione del personale pubblico”, portando al centro dell’azione pubblica “gli obiettivi e non le procedure”.
Per Amato la colpa della mancata attuazione di un piano del genere in Italia è da attribuire alla carenza di tecnici in ruoli chiave, i quali “vanno in pensione senza esser sostituiti” col risultato di creare progressivamente una struttura composta “in prevalenza da laureati in Giurisprudenza più interessati ad evitare beghe con la Corte dei Conti che non a raggiungere risultati effettivi”. Ciò si riflette anche nella stessa Corte dei Conti che, “nonostante lo sforzo delle leggi Bassanini”, presenta un basso numero di economisti. La crisi attuale e la spending review poi, fanno il resto, costringendo al blocco del turnover e “chiudendo la porta alle nuove professionalità necessarie”. Per il “Dottor Sottile” è quindi necessario rivedere la figura del giurista “cambiandone la formazione ed affiancando al diritto anche l’analisi economica”.
Grande stima invece per la Banca d’Italia, considerata “l’ultima scuola di grande formazione rimasta nel Paese”. Ed è proprio la scomparsa delle altre scuole, più che la prevalenza di quella legata a Bankitalia, a rappresentare per Amato un problema per il futuro del Paese.
Emanuele Vena