Una delle questioni più calde che l’ormai ex Ministro dei beni e delle attività culturali, Massimo Bray ha lasciato sul tavolo del suo successore, Dario Franceschini, a causa dell’improvviso cambio al vertice di Palazzo Chigi è, certamente, rappresentata dall’esigenza di adeguare – il che non è sinonimo di aumentare – le tariffe del c.d. equo compenso da copia privata, ovvero l’importo che la legge impone di versare ai produttori e distributori di supporti idonei ad essere utilizzati per l’esecuzione, da parte dei consumatori, di copie ad uso personale, ulteriori rispetto a quella legittimamente acquistata.
Dopo il fallimento del golpe d’inverno da parte della SIAE che aveva addirittura provato a “dettare” al Ministero il testo del Decreto compilandolo con una serie di importi a suo dire derivati da non meglio precisate “medie europee” e la decisione del Ministro di vederci chiaro e di commissionare, pertanto, una ricerca di mercato allo scopo di capire se e quali supporti e dispositivi vengono davvero utilizzati dai consumatori per fare copie private, ora toccherà al neo Ministro, scrivere e firmare il Decreto tenendo, auspicabilmente, conto della ricerca di mercato che il suo predecessore gli ha lasciato sulla scrivania.
In questa prospettiva sembra opportuno fare un po’ di chiarezza su alcune informazioni “propagandistiche” diffuse dalla SIAE, lasciando, la parola ai fatti ed ai numeri e mettendo, per un attimo, da parte le opinioni e le idee di ciascuno.
Nelle ultime settimane, infatti, da Viale della Letteratura sono partiti una serie di lettere, comunicati ed interviste non tutti di irreprensibile correttezza.
“L’UE auspica il modello italiano”, ad esempio, è il titolo di un comunicatoapparso sul sito della SIAE lo scorso 12 febbraio a proposito di una Relazionesulla materia della copia privata, approvata dalla Commissione giuridica del Parlamento europeo.
Un titolo, occorre riconoscerlo, ad effetto che, tuttavia, non trova puntuale riscontro nel contenuto della Relazione.
Tanto per cominciare l’Europa “chiede agli Stati membri di semplificare le procedure per la fissazione dei prelievi di concerto con tutte le parti interessate in modo da garantire equità e obiettività” mentre SIAE, lo scorso inverno, ha, addiruttura, provato a dettare in autonomia le nuove tariffe al Ministero.
La Commissione giuridica, inoltre, “ritiene che i consumatori debbano essere informati dell’importo, della finalità e dell’utilizzo dei prelievi che pagano” mentre in Italia ciò non è affatto previsto.
Ma non basta.
L’Europa “chiede agli stati membri di garantire che il prelievo per copia privata non debba mai essere pagato allorché i supporti in questione sono utilizzati a fini professionali e che i vari meccanismi di rimborso dei prelievi versati per gli utenti professionali siano sostituiti da sistemi che garantiscano innanzitutto che tali utenti non siano tenuti a pagare il prelievo” mentre il “modello italiano”, prevede esattamente il contrario, ovvero un complicato e farraginoso meccanismo di rimborso gestito dalla SIAE.
La Commissione giuridica UE chiede che gli Stati membri assicurino trasparenza circa la destinazione dei proventi ottenuti dalla raccolta della copia privata e pubblichino relazioni che “descrivano la destinazione dei proventi in un formato aperto e con dati interpretabili” mentre in Italia non c’è alcuna trasparenza sotto tale profilo se non quella garantita dalla Legge che si limita a stabilire le macroquote di riparto tra i diversi titolari dei diritti come, peraltro, ricorda la stessa SIAE in una curiosa “operazione trasparenza” di qualche settimana fa.
“Bisogna adeguare le tariffe italiane sulla copia privata alla media europea”,ripete, ormai da novembre, il Presidente della SIAE, Gino Paoli, facendo apparire quella italiana un’anomalia divenuta insostenibile.
Posizione comprensibile quella di Paoli perché proveniente dal Presidente di una società che dalla raccolta dell’equo compenso ricava – a titolo di “rimborsi spese di gestione” – milioni di euro, ma decisamente poco trasparente.
La Relazione della Commissione Giuridica del Parlamento europeo, infatti, inizia con una premessa che lascia interdetti: “la somma totale dei prelievi per copie private riscossi in 23 dei 28 Stati membri…ammonta attualmente a più di 600 milioni di euro”.
In Italia, attualmente, il prelievo da copia privata è pari a circa 80 milioni di euro all’anno e gli aumenti tariffari proposti dalla SIAE lo porterebbero a circa 200 milioni di euro all’anno.
E’ davvero curioso che un Paese le cui tariffe, secondo il Presidente della SIAE, sarebbero inferiori alla media europea contribuisca oggi a quanto raccolto in 23 Paese per circa il 20% e si vorrebbe che vi contribuisse per oltre il 30%.
Certo le caratteristiche demografiche e di mercato dei diversi Paesi europei non sono omogenee ma da qui a dire che uno dei Paesi che contribuisce di più al prelievo da Copia privata sia al di sotto della media europea il passo è davvero lungo.
Ma c’è un’altra piccola-grande bugia che sembra divenuta, ormai, il cavallo di battaglia degli uomini della SIAE: gli smartphones sono largamente utilizzati per la fruizione di contenuti musicali ed è, quindi, giusto che paghino l’equo compenso.
L’ultimo a scriverlo è stato l’Avv. Luca Scordino, membro del Consiglio di Gestione della SIAE, in una lettera inviata al Direttore di DDay per sottolineare alcuni errori nei quali, a suo dire, quest’ultimo, sarebbe incorso.
Nella lettera Scordino scrive – citando una ricerca che sarebbe stata commissionata da Google ma della quale non fornisce alcun riferimento – che il 90% degli smartphones sarebbe “dedicato al c.d. intrattenimento”, cioè a contenuti protetti dal diritto d’autore.
Così dicendo, evidentemente, l’Avv. Scordino ritiene di supportare la tesi della SIAE secondo la quale per ogni smarphones venduto, i produttori dovrebbero versare un compenso di oltre 5 euro, destinato, naturalmente, ad essere poi riaddebitato ai consumatori.
Tuttavia, nella stessa lettera, lo stesso Consigliere di gestione della SIAE, suggerisce al direttore di DDay, la lettura della Relazione della Commissione giuridica del Parlamento Europeo, un documento che, forse, non ha letto con la dovuta attenzione.
Se lo avesse fatto, infatti, avrebbe notato che la Commissione mette nero su bianco alcune considerazioni, per la verità piuttosto ovvie: “numerosi terminali mobili offrono, in teoria, la possibilità di realizzare copie per scopi privati, ma di fatto questi terminali non sono utilizzati a tal fine” e, ancora, “nel settore digitale, il processo di copia tradizionale viene sostituito da sistemi di streaming che non consentono di salvare copie delle opere protette dal diritto d’autore sull’apparecchio terminale dell’utente”.
Sono considerazioni dalle quali è facile trarre la conclusione opposta a quella che in SIAE ci si ostina a “contrabbandare” come verità: non esiste nessuna relazione diretta tra l’utilizzo di un dispositivo per ascoltare musica e l’assoggettamento di tale dispositivo a compenso da copia privata.
Tale compenso è dovuto solo laddove il dispositivo sia effettivamente utilizzato – almeno in termini statistici per effettuare copie private.
Il punto non è voler sottrarre ai titolari dei diritti ciò che gli compete ma riconoscere loro solo ciò cui hanno effettivamente diritto perché solo così si può sperare di ricucire quell’indispensabile patto sociale tra chi produce arte e cultura e chi ne fruisce.
Bugie, propaganda e poca trasparenza sono nemici giurati di ogni tenue speranza che ciò avvenga.