In Italia è minimo il gap negli stipendi tra uomo e donna, ma c’è poco da festeggiare
Dati recenti dati Eurostat sul 2012, emerge quella che sembra essere una buona notizia per l’Italia. La differenza negli stipendi tra uomo e donna è ai minimi in Europa.
Difatti a fronte di una media del 16,4% per tutta l’Unione Europea l’Italia si posiziona come possiamo vedere nel seguente grafico al 6,7%, quasi quella con valore più basso dopo Polonia, Malta, Slovenia, mente il record della disuguaglianza è posseduto da Estonia, Austria e Germania a più del 22% di gap, con il picco estone del 30%.
Sembra esserci qualcosa che non va: i Paesi da sempre più avanzati in tema di uguaglianza tra i sessi, specie in campo lavorativo, e in pari opportunità, sembrano essere maglia nera e i più discriminanti, mentre quegli Stati da sempre accusati di essere più retrogradi mostrano dati migliori.
Dove sta l’inghippo? Nel tasso di partecipazione al lavoro. Vediamo di seguito i tassi di occupazione femminile in Europa:
L’Italia era nel 2012 al 50%, ora è al 47%, a fronte di una media europea di poco più del 60% e Paesi scandinavi, o Svizzera (fuori UE) e Germania che sfiorano o superano il 70%.
Ebbene pare che proprio i Paesi con tasso di occupazione più alto abbiano maggiori gap salariali per sesso, come mai?
Evidentemente in quegli Stati in cui le donne lavorano meno, quelle poche donne lavoratrici regolari (sappiamo a quanto ammonta il nero soprattutto nel lavoro femminile) sono impiegate in mansioni a maggiore valore aggiunto o meglio pagato, come l’amministrazione pubblica oppure anche in altri settori le donne presenti sono quelle poche con alta specializzazione e valore aggiunto.
Viceversa laddove l’occupazione femminile è normale e normale è la scelta di cercare un lavoro anche per chi ha figli, vengono occupate in mansioni che di per sè sono a minore valore aggiunto di altre. Il settore della cura alla persona per esempio, in grande espansione ma con stipendi e livelli di specializzazione inferiore alla media, così come l’insegnamento nelle scuole materne o primarie, mentre nei settori dell’hi-tech, dell’informatica soprattutto, vi è una netta preponderanza maschile.
Vedere questi gap salariali in base all’età è molto interessante:
Meno di 25 anni:
Qui l’Italia ha un gap superiore a quello europeo, probabilmente deriva dal fatto che negli ultimi 5 anni il tasso di attività e occuazione femminile dei giovanissimi è stato analogo a quello maschile, e di fatto tante donne quanti uomini si affacciano sul moando del lavoro, è una situazione che ci avvicina al Nord Europa, e però la conseguenza è che si tratta appunto di lavori a minore valore aggiunto.
25-34 anni:
L’Italia comincia ad andare sotto la media.
Di seguito il gap nelle fasce 35-44 anni 45-54 anni e 55-64 anni:
Qui è massima la differenziazione dall’Europa, valgono i discorsi precedenti sull’esiguità del lavoro femminile in termini di occupati su quello maschile e la conseguenza che questi lavori siano “pochi ma buoni”.
Il problema è che le performances dei Paesi come il nostro con bassa occupazione femminile sono negative, vuol dire che il costo opportunità di avere tante donne fuori dal tessuto produttivo è troppo alto e converrebbe vi fosse un massiccio afflusso anche a costo di aumentare provvisoriamente il gap salariale, per esempio in Germania i minijob sono ricoperti in gran arte da donne, ma l’inattività e la disoccupazione femminile sono ai minimi.
Contemporaneamente lo sforzo deve essere fatto verso un coinvolgimento delle donne in percorsi a maggiore valore aggiunto, un felice esempio è l’ondata rosa che sta inondando il mondo della sanità, a livello di medici e professionisti.
Molto da fare invece sul versante dele professioni tecniche e dell’informatica.