Sud Sudan: trattative di pace
Da Addis Abeba si comincia a capire su quale ipotesi di mediazione stanno lavorando i delegati dell’Igad per la pace in Sud Sudan, o almeno per ottenere una tregua vera che consenta di sperare in una road map che alla fine porti ad un accordo. L’ipotesi è quella di un governo di unità nazionale che comprenda, ovviamente, i due principali protagonisti di questa guerra, cioè il presidente Salva Kiir e il suo rivale ed ex presidente Riek Machar. Il primo un Dinka, il secondo un Nuer. I due ovviamente avranno un ruolo importante in un eventuale governo di unità nazionale, ma resta da capire se personalmente o con uomini di loro fiducia.
Se ci dovessero (o volessero) partecipare personalmente si aprirebbe un problema di non poco conto: Salva Kiir non può accettare di meno di un ruolo di presidente, essenzialmente perché lo è già e se dovesse accettare una posizione minore significherebbe ammettere di avere perso. E non lo farà mai. Analogo ragionamente per Riek Machar: era vice presidente e non può accettare meno di ciò che aveva. Se entrambi venissero accontentati saremmo ai blocchi di partenza, cioè nella stessa situazione che ha generato la guerra.
Ovviamente la strategia dei mediatori è quella di fare entrare nel gioco altri personaggi significativi, che rappresentano popolazioni, minoranze, etnie e sotto etnie. Giusto. Ma in questa situazione di guerra ci sono già capi militari, inquadrati nell’esercito e anche no, leader locali, signori della guerra di piccolo calibro che di fatto controllano pezzi di territorio o che sono i signori di città o insieme di villaggi che giocano in proprio, cioè che sono abbastanza indipendenti dai loro superiori. Se la guerra continuerà ancora questa dinamica si accentuerà. La prassi nelle mediazioni di questo tipo è che a chi controlla anche una porzione di territorio si offre un posto al tavolo delle trattative e magari una posizione di rilievo in un eventuale governo.
Questo tipo di prassi è una modalità consolidata che in Somalia (per esempio) ha portato a fare governi e parlamenti, totalmente inutili, di centinaia di persone. Si tratta di una dinamica che se da una parte è logica, dall’altra esprime una debolezza totale perché occulta i problemi che poi, più avanti, torneranno fuori aggravati. Che fare, allora? La mia opinione è che va bene l’ipotesi di un governo di unità nazionale ma coinvolgendo non signori della guerra o capi e leader militari locali. Si tratta di disinnescare la dinamica Dinka/Nuer innanozi tutto e dunque cercare leader riconosciuto che appartengano anche ad altre etnie.
In secondo luogo si deve anche disinnescare la dinamica Kiir/Machar. Questi due personaggi sono squalificati e andrebbero messi fuori gioco o, almeno, in posizione di non nuocere. Come? Per esempio con la minaccia di una indagine per crimini di guerra. Lo so, i mediatori africani non accetteranno mai di far pesare questa minaccia perché loro stessi non riconoscono la CPI, anzi l’accusano ridicolmente di razzismo perché persegue solo africani (Omar Al Bachir, Uhru Kenyatta). In terzo luogo credo che i mediatori internazionali e le Grandi Potenze dovrebbero proporre al Sud Sudan un accordo per lo sfruttamento del suo petrolio perché la guerra si gioca soprattutto intorno a questo problema.
Capisco bene che in questo modo il conflitto potrebbe trasferirsi fuori dal Sud Sudan e coinvolgere antagonisti che, di fatto, non sono totalmente estranei a ciò che accade nel più giovane stato africano. Almeno però questo modo di fare prenderebbe atto di come stanno le cose.