Grillo e i dissidenti, come la Lega anni ’90
Cazzullo ha ragione quando si scaglia contro l’abitudine dei media italici di riproporre sempre confonti con il passato per analizzare fenomeni politici attuali, “il nuovo fascismo”, “ritorna la DC”, “liturgie da Prima Repubblica”. I fenomeno sono nuovi, come i protagonisti, ma c’è una analogia che non riesce a non stupirmi per quanto è stretta, riguardo la vicenda dei dissidenti grillini purgati dal capo.
Forse pochi ricordano che nella trionfante Lega anni ’90 dissidenti, congiure, notti dai lunghi coltelli (altro uso del passato, è più forte di noi) erano all’ordine del giorno. Chi ricorda ora di Castellazzi? Che agli albori della Lega pensava che il partito dovesse entrare nelle istituzioni e allearsi ad altri pariti e fu per questo scacciato, salvo poi vedere nel 1994 l’alleanza tra Bossi e Berlusconi, alleanza che segnerà il rumoroso abandono dell’ideologo Miglio.
E poi vi furono le uscite nel 1996 con l’avvento della linea secessionista. Prima di tutto Irene Pivetti, appena smessi i panni di presidente della camera e quindi nel pieno del successo mediatico, fuori dalla Lega in realtà sarà costretta a tristi e improbabili peregrinazioni tra un partito proprio, l’UDEUR di Mastella e finalmente la TV. Un tentativo più serio fu quello di Gnutti e Comino con gli Autonomisti per l’Europa, APE, variante moderata, a fine anni ’90.
E poi ancora Pagliarini, ex ministro, abbandona la Lega, e così aveva fatto Formentini, ex sindaco di Milano, simbolo delle vittorie leghiste dei tempi di Tangentopoli, che però nella margherita e nel PD verrà presto accantonato. Certo, non c’era la rete, ma come oggi i media parlavano diffusamente della possibile disgregazione della Lega, del suo declino, per esempio quando con il ribaltone abbandonò Berlusconi nel 1994, ma mai successe nulla, le tante vittorie o le poche sconfitte della Lega proseguirono indipendentemente.
E ho il sospetto che accadrà lo stesso con il Movimento 5 Stelle. Perchè ci sono due caratteristiche che legano il movimento grillino alla Lega di un tempo:
1) L’assoluta preminenza del leader che da solo è il partito mentre intorno gli altri sono solo comparse.
2) Il messaggio radicale che non consente reali compromessi
Non si tratta di messaggi classici come il socialismo, il liberalismo, il conservatorismo, di cui possiamo trovare infinite vie di mezzo. Non esiste un leghismo moderato come non può esistere un grillismo moderato, o è radicale o non è. Non si può essere “un po’” contro la casta, facendo magari accordi con qualcuno (un Civati), così come non si poteva essere “moderatamente” secessionisti, almeno non senza che lo dica il capo.
La Lega infatti soffrì un po’ il ritorno con Berlusocni ma sopravvisse, anche per il grande intuito di cambiare il core del messaggio, da quello contro “i terroni” e “Roma ladrona” a quello contro gli immigrati e il pericolo di perdità dell’identità, all’indomani dell’11 settembre.
Appunto, il modello grillino e leghista, essendo sì radicale, ma non ideologico, consente questa flessibilità, e certo anche Grillo se ne sevrirà, cambianto i bersagli quando necessario. Ma non saranno Orellana o la Bignami a mettere in crisi il Movimento 5 stelle. A proposito, qualcuno ne ricorda il nome? Qualcuno si ricorda dell’emiliano Favia? La Lega degli anni ’90 e il M5S sono come una lucertola che si pò amputare ma finceè rimane la testa, tutte le membra rimangono e va avanti, lasciando la coda staccatasi sola e dimenticata.