“Viva la Grande bellezza degli autori italiani” è il claim che campeggia su www.copiaprivata.it, una pagina web “anonima”, aperta nei giorni scorsi dalla Mn Holding, una società di relazioni esterne e istituzionali presieduta da Umberto Maria Chiaromonte consulente del Clan Celentano e delle grandi multinazionali dell’audiovisivo dalla Emi alla Warner, passando per la BMG Sony e la Universal.
Una pagina sulla quale è ripubblicato un appello già pubblicato nei giorni scorsi sul sito della SIAE, la società italiana autori ed editori per chiedere al neo-ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini, di firmare il decreto per l’adeguamento delle tariffe del c.d. equo compenso da copia privata. L’appello, a quanto si legge è stato firmato da “circa 500 nomi illustri del mondo dello spettacolo di tutte le generazioni”.
E’ curioso – e la dice lunga sul livello di propaganda in atto – che nella versione originaria dell’appello pubblicata sul sito della SIAE, non compariva il nome di Paolo Sorrentino che, invece, compare nel nuovo elenco pubblicato sul sito copiaprivata.it ed al quale, anzi, il sito è sostanzialmente dedicato e la cui immagine, con l’oscar tra le mani, fa da sfondo alla ripubblicazione dell’appello.
Un’iniziativa di comunicazione e propaganda che mira a sfruttare lo straordinario successo del popolare regista per far passare il messaggio secondo il quale aumentare le tariffe della copia privata così come la SIAE – e le grandi major dell’audiovisivo – chiedono da mesi è presupposto indispensabile perché il nostro Paese ottenga altri grandi e analoghi successi.
Un’operazione carica di stucchevole retorica giacché non esiste alcun genere di relazione diretta tra successi internazionali come quello di Paolo Sorrentino e la questione dell’equo compenso da copia privata, a meno, naturalmente, di non voler davvero pensare che un capolavoro cinematografico come la grande bellezza non finirà archiviato nei nostri smartphones per essere fruito nei loro minischermi decine di volte. Intendiamoci, a condizione di rendere chiaro ai visitatori che il sito copiaprivata.it rientra in un’iniziativa di comunicazione esterna ed istituzionale delle grandi sorelle dell’audiovisivo e della SIAE, l’operazione è naturalmente lecita a prescindere dalla condivisibilità o meno del messaggio.
Non si può, tuttavia, continuare a trattare un problema straordinariamente serio e di enorme rilievo economico – non solo per i titolari dei diritti ma anche per i consumatori italiani di prodotti di elettronica che, nel prossimo anno, potrebbero ritrovarsi a spendere oltre cento milioni di euro in più degli ottanta già spesi lo scorso anno – a colpi di spot pubblicitari e retorica istituzionale.
Nessuno pretende di sottrarre agli autori ed ai produttori quanto è loro dovuto a fronte della facoltà concessa ai consumatori di farsi una copia privata di opere già lecitamente acquistate ma, ad un tempo, sarebbe sommamente iniquo riconoscere un compenso a chicchessia laddove tali copie non esistono sostanzialmente più perché i modelli di fruizione dei contenuti digitali sono cambiati e siamo ormai entrati, come titola bene La Repubblica di oggi, in una “vita in streaming”.
Chi – tra gli autori ed i produttori firmatari e promotori dell’appello – con ostinata caparbietà, non sempre intellettualmente onesta, continua a ripetere da mesi che le nuove tecnologie abilitano i consumatori a fare sempre più copie delle opere audiovisive protette da diritto d’autore, dovrebbe leggersi qualche riga del bel pezzo di Jaime d’Alessandro su La Repubblica: “Una casa senza libri, senza dischi, senza fumetti, senza dvd, né cd…la vita quotidiana ai tempi dello streaming, se ci dovessimo basare sulle cose che possederemo, sarà difficile da interpretare per un archeologo del futuro. Persino negli hard disk troverebbe poco o nulla…Nulla viene acquistato, tutto viene fruito, affittato, consultato, spesso con la formula all you can eat”.
Se questi sono i nuovi modelli di fruizione dei contenuti è evidente che continuare a parlare di equo compenso da copia privata è ipocrita e fuorviante perché significa mistificare la realtà a proprio uso e consumo. Continuare a chiedere centinaia di milioni di euro a titolo di compenso da copia privata in un contesto di questo genere più che a La Grande bellezza, fa pensare alla voglia – almeno di qualcuno – di approfittare dell’occasione per una grande abbuffata.
E’, per questo, fondamentale che il nuovo Governo non si lasci tirare per la giacchetta e proceda lungo il solco peraltro già segnato dall’ex Ministro dei Beni e delle attività culturali Massimo Bray: parametrare le tariffe all’utilizzo effettivo che di smarphone, tablet e PC fanno i consumatori italiani e, soprattutto, a rigorose e rigide garanzie che la SIAE ripartisca la valanga di milioni di euro che chiede di incassare in maniera trasparente ed obiettiva.