Era la naturale conseguenza della tensione di queste ultime settimane. La Crimea, la regione autonoma e russofona dell’Ucraina, dice sì all’annessione alla Federazione Russa. Il Parlamento locale ha infatti votato all’unanimità la proposta di separarsi dall’Ucraina e di entrare a far parte della Russia, indicendo, per il 16 marzo prossimo, un referendum popolare che dovrà confermare o meno la decisione.
È fuor di dubbio che la scelta di convocare un imminente referendum aumenti esponenzialmente la tensione nella zona, come rimarca il ministro degli Esteri francese, Laurient Fabius: “Se una regione qualsiasi di un qualsiasi Paese decide, in contraddizione con la sua Costituzione, di unirsi a un altro Paese che lo ha incoraggiato a farlo, vuole dire che non c’è più la pace internazionale, né frontiere certe”. Simile il pensiero del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi: “I rischi geopolitici legati alla crisi in Ucraina “sono notevoli e potrebbero generare conseguenze imprevedibili”.
Durissima la reazione primo ministro ucraino Arseni Iatseniuk, che ha dichiarato che “il referendum è illegittimo. La Crimea è e resterà Ucraina”. Come se non bastasse, la giustizia ucraina ha già emesso mandati d’arresto per il premier e per il presidente del parlamento (Rada) della Crimea, Serghii Aksionov e Vladimir Kostantivov, proprio in virtù dello strappo consumato oggi.
La scelta del parlamento della Crimea arriva nel giorno in cui la diplomazia europea è riunita a Bruxelles per tracciare una linea comune che affronti la crisi ucraina. I leader dei paesi europei sono riuniti in un vertice straordinario del Consiglio europeo per tracciare una strada comune e cercare una soluzione per la crisi ucraina. Si tratta del primo appuntamento internazionale per il nuovo premier Matteo Renzi.