Camusso: “Renzi rischia il culto della personalità”. Bocciato il Jobs Act
Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, attacca il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, cominciando dallo stile e finendo ai contenuti. “Matteo Renzi – sostiene Camusso – rischia di confondere un’azione di riavvicinamento della politica al Paese con il culto della personalità”. Chiaro il riferimento del leader sindacale alla canzoncina che ha accolto il premier ieri nella visita in una scuola elementare siciliana.
Ma le critiche della Camusso vanno oltre e colpiscono i capisaldi della politica di rilancio adottata dal governo, il taglio al cuneo fiscale e il Jobs Act. “I cinque miliardi di risorse che il governo prevede di ricavare dal taglio alla spesa pubblica e destinare al taglio del cuneo fiscale – dichiara Camusso – è una misura ancora lontana dall’avere quell’effetto choc che il presidente del Consiglio aveva annunciato in Parlamento”.
“Ho la sensazione – prosegue – che ci stiamo riraccontando la legge di stabilità che prevedeva un fondo destinato a ridurre la tassazione sulle imprese e sui lavoratori alimentato direttamente dai tagli di spesa e dagli eventuali proventi del rientro dei capitali”. “Se è di nuovo quella cosa lì era insufficiente a dicembre e non diventa sufficiente adesso”. “Sento il governo – aggiunge – continuare a parlare di aliquote Irpef e non va bene, perchè così si dà una risposta ai lavoratori e agli evasori contemporaneamente”.
Poi arrivano le bordate anche su Jobs Act, che la leader Cgil teme si riveli “l’ennesima moltiplicazione delle forme di ingresso al lavoro e quindi della precarietà. “Sarebbe utile – invece -, per mettere ordine al sistema, che si comincino a tagliare tutte le forme di precarietà e poi, a quel punto, si può discutere anche di contratto unico”.
Bocciato anche il principale elemento d’innovazione del piano del lavoro renziano, ovvero il congelamento, per i primi 3 anni dall’assunzione, dell’art.18: “Il tema oggi non è quello dei licenziamenti ma delle assunzioni”. “Servono politiche per creare il lavoro – conclude – e per non far fuggire non solo i cervelli ma anche la manodopera giovanile, altrimenti creiamo un debito straordinario sui nostri figli e sui nostri nipoti progettando un paese di poveri”.
Redazione