Lasciata Scelta civica, il gruppo di Mario Mauro aveva fatto una scelta centrista, vicina all’Udc e non troppo vicina a Berlusconi (ma nemmeno troppo lontana), riassumendo tutto nel nome “Popolari per l’Italia“. Il partito dell’ex ministro della Difesa, però, rischia di trovare il suo posto già occupato: i Popolari, infatti, non sono mai spariti dalla vita politica italiana.
E non si parla di ciò che è rimasto del Ppi dopo la sua confluenza nella Margherita, ma di coloro che (specie in Piemonte), nonostante la chiusura del loro partito, volevano restare semplicemente Popolari. Al punto da registrare il simbolo con quel nome, bloccando le armate di Alemanno e persino del Cavaliere, quando volevano mettere le mani su quell’etichetta per i loro progetti. Per questo il segretario dei Popolari di Moncalieri, Giancarlo Chiapello, avvisa Mauro: occorre dialogare con chi opera da anni sui territori, altrimenti si fanno solo operazioni di palazzo.
Chiapello, Mario Mauro ha scelto di chiamare il suo partito Popolari per l’Italia, ma sul primo nome a quanto pare è arrivato tardi… sanno che il loro non è un nome nuovo?
In teoria sì: in modo del tutto amichevole, con diverse persone conosciute che hanno iniziato questo nuovo cammino politico, alcuni messaggi sono stati mandati. E’ stato suggerito che sarebbe bene anche considerare che, in questi anni, i Popolari non sono mai spariti; forse la fiamma era piccola, ma non si è mai spenta, soprattutto sul territorio.
Di che natura sono stati i contatti con gli esponenti dei Popolari per l’Italia?
Al momento non abbiamo messo nulla per iscritto, in modo “ufficiale”: in colloqui amichevoli è stato ricordato che il vecchio simbolo del Ppi è stato registrato all’Ufficio italiano brevetti e marchi e viene utilizzato anche alle elezioni. Esistono perfino gruppi consiliari che si chiamano proprio “Popolari”.
Dove è stato utilizzato il vostro emblema?
Il contrassegno è stato presentato alle elezioni comunali essenzialmente in due regioni. Innanzitutto è stato usato in Piemonte, ovviamente a Moncalieri e anche in altri luoghi; poi è stato usato in Campania, su nostra delega, per il rinnovo di amministrazioni come quella di Afragola.
Perché avete scelto di distinguervi praticamente con lo stesso emblema del “vecchio” Partito popolare?
La sezione del Ppi di Moncalieri, già nel 2002, scelse di non aderire alla Margherita, rimanendo invece fedele alla linea di Gerardo Bianco e di Alberto Monticone. Non a caso abbiamo mantenuto in questi anni l’adesione al movimento Italia popolare, da loro fondato. Per questo ci permettiamo di dire che c’è una primogenitura, anzi, c’è una continuità che è stata mantenuta con la storia del popolarismo e del Partito popolare: storia piccola, sì, ma c’è. Mentre gli altri gironzolavano da un partito all’altro o, come negli anni scorsi, si attardavano a spiegare perché si dovessero fare i grandi partiti contenitori, noi continuavamo a mantenere la posizione dell’assoluta necessità di un ritorno a una presenza laica di ispirazione cristiana, dichiarata e chiara.
Formalmente però siete dovuti passare attraverso la costituzione di un nuovo soggetto…
Più esattamente, la direzione della sezione di Moncalieri decise di non sciogliere la sezione, cambiando il proprio nome in “Associazione Popolari – Collegio 12”, che era appunto il collegio uninominale di Moncalieri.
Voi però non rivendicate di essere quel Partito popolare italiano, o sbaglio?
Per carità, no, non lo rivendichiamo. Quando si decise la sospensione dell’attività del Ppi, abbiamo dissentito dalla decisione del congresso del partito: tra l’altro, quella scelta di “congelamento” del partito si fondava su presupposti che via via sono venuti meno. Innanzitutto si diceva che l’allargamento a forze liberaldemocratiche doveva essere l’orizzonte finale per i cattolici democratici, ma così non è stato: la Margherita infatti è stata una tappa intermedia verso il Partito democratico. Dicevamo già allora che il Partito socialista europeo non è casa nostra: ora il Pd ha aderito al Pse…
Dunque confermate le scelte fatte allora; in compenso, negli anni, già altri soggetti di primo piano avevano cercato di mettere le mani sul vostro nome…
Si ricorderà di quando i mezzi di stampa avevano fatto sapere che Silvio Berlusconi aveva intenzione di usare per il suo partito la denominazione “Popolari”, come riferimento italiano al Partito popolare europeo, senza considerare che nel nostro simbolo la parola “Popolari” è l’unica presente e in bella vista: uscimmo immediatamente sui media per tentare di bloccare quel progetto.
Che è stato abbandonato.
Già… Poi a seguire c’è stato il tentativo di Gianni Alemanno che, poco più di un anno fa, voleva utilizzare “Italia popolare” come nome per una sua iniziativa. La denominazione e l’eredità “popolare” oggi sembra fare gola a molti, ma per fare riferimento a essa credo si debba sì guardare al futuro, ma avendo una storia.
In effetti però Mauro non ha utilizzato proprio lo stesso nome: i problemi, più che giuridici, potrebbero essere politici?
Beh, sì, anche perché i Popolari a livello locale esistono: credo si debbano aprire anche interlocuzioni sapendo che questi gruppi hanno un’identità precisa. Il riferimento forte che oggi si fa è al Ppe, ma non si dimentichi che la storia del popolarismo italiano è originale e non corrisponde del tutto alla storia recente di quel partito europeo che ha assunto una fisionomia più conservatrice. Il popolarismo italiano ha una specificità che va comunque salvaguardata, secondo noi. Nel 1998 i Popolari italiani facevano riferimento al Ppe, ma nel gruppo Schumann che riuniva i democristiani autentici, creando una vera dialettica nel partito che altrimenti sarebbe scivolato su posizioni sempre più conservatrici, come poi ha fatto.
I contatti amichevoli di cui parlava prima con persone legate al nuovo soggetto politico però non hanno avuto molti effetti, visto che il nome non è cambiato.
Probabilmente perché c’è stato un forte impegno “romano” e poco interesse per il dialogo col territorio, mentre noi, sulla base di quella che è sempre stata la linea di Monticone e Bianco, abbiamo sempre privilegiato l’ipotesi di una rinascita e di una messa in rete delle esperienze locali. Oggi il popolarismo – che patisce una certa mancanza di leadership forte centrale – ha bisogno della testa “romana”, ma ha soprattutto bisogno di rinascere dai territori in cui è rimasto in vita, altrimenti rischia di aversi un’operazione di palazzo, poco comprensibile ai più.
Se Mauro e compagni dovessero procedere così, senza cambiare il loro nome e il loro atteggiamento, cosa prevedete di fare?
Se non c’è la capacità di interloquire col territorio, ci sarà la necessità di far capire che il popolarismo italiano non è mai morto.
Per lo meno nell’emblema di Mauro non c’è lo scudo crociato: perché secondo lei?
Anche guardando le provenienze di chi è parte di questa esperienza, per molti di loro lo scudo dice ben poco, ma temo dica molto poco anche il riferimento alle municipalità, legato al nostro gonfalone.