Nel MoVimento 5 Stelle la sua è una delle posizioni più importanti. E non per una questione di gerarchia, ma perché la poltrona che occupa è piuttosto delicata. Roberto Fico, però, vorrebbe che la Commissione parlamentare di indirizzo e vigilanza sui servizi radiotelevisivi finisse dopo la sua presidenza perché, così com’è, non serve a nulla. Lo abbiamo incontrato ieri nel suo studio di palazzo San Macuto, per parlare del futuro della Rai, di ciò che non va e di ciò che si può migliorare.
Non si poteva, tuttavia, non cogliere l’occasione per fare un discorso più ampio, per capire “dall’interno” cosa stia accadendo nel M5S, dopo i giorni più critici delle espulsioni dal gruppo del Senato, del passaggio al gruppo misto di alcuni parlamentari e delle dimissioni di altri. Dimissioni che però – e questo è il sospetto di cui lo stesso Fico parla – potrebbero in qualche modo rientrare, per consentire a palazzo Madama la formazione di un nuovo gruppo. I motivi? Facciamoceli spiegare da lui.
Cittadino Fico, da meno di un anno occupa uno dei ruoli ritenuti “di garanzia”, quelli che il Movimento 5 Stelle chiedeva a inizio legislatura; per molti, però, la Commissione di indirizzo e vigilanza dovrebbe essere abolita perché non serve a nulla, se non alla futura carriera del Presidente. Che idea si è fatto di quest’organo fin qui?
Noi chiedevamo questa presidenza e quella del Copasir, che come ruoli di garanzia solitamente vengono assegnati all’opposizione; essendo noi la prima opposizione nel paese, con il 25%, ci sembrava davvero il minimo sindacale avere quelle posizioni, anche se poi ci è stata data solo la Vigilanza. Comunque, lo stesso giorno del mio insediamento, il 6 giugno dell’anno scorso, feci una conferenza stampa in cui dichiarai: “Spero di essere l’ultimo presidente della Commissione di vigilanza”. Il punto reale è che deve cambiare tutto il modello di governance della Rai, dunque anche la Vigilanza non può rimanere com’è: oggi elegge sette membri su nove del consiglio di amministrazione Rai e fondamentalmente le nomine sono fatte dai partiti, presenti in Commissione in proporzione rispetto ai seggi parlamentari. E’ così che avviene la classica “lottizzazione”: noi questo non dobbiamo più permetterlo, se non ci riusciamo durante la vita della Commissione, dobbiamo farlo con una legge che riformi tutto il meccanismo. Ed è quello che il M5S sta facendo.
Dunque come pensa di chiudere la serranda della Commissione dopo di sé?
Innanzitutto io chiuderei la serranda di moltissime commissioni bicamerali…
Ad esempio?
Quella per l’infanzia, quella su Schengen, sull’anagrafe tributaria… tutte funzioni che possono benissimo essere riaccorpate nelle commissioni permanenti. In questo modo avremmo un risparmio immediato consistente. Anche la Commissione di vigilanza così com’è non serve, deve sparire mediante una legge, ma una legge parlamentare.
Cosa salverebbe di quelle commissioni? Magari qualcosa da salvare c’è…
Mah, la stragrande maggioranza di quelle commissioni, per come le ho conosciute, ha poco senso: se le materie che trattano possono essere trattate nelle relative commissioni permanenti, non occorre più avere per ognuna un presidente, due vicepresidenti, due segretari con relativo staff e indennità aggiuntive di funzione, magari usufruendo del parco auto della Camera, di stanze, uffici, funzionari. Così si potrebbe anche avere una riorganizzazione totale del personale delle Camere…
… senza tagli di posti?
Secondo me il personale può essere tranquillamente riorganizzato, senza tagli ma assegnando meglio chi già lavora: io spesso vedo che alla Camera in certi settori c’è bisogno di più personale e altri turni perché il lavoro è pressante e coloro che sarebbero sollevati dal lavoro per queste commissioni potrebbero essere allocate in quegli ambiti.
Diceva che occorre una legge di “gestazione parlamentare” per tutto questo.
La legge deve nascere dal Parlamento e dai parlamentari, che devono esercitare la loro funzione legislativa, visto che siamo in una repubblica parlamentare e non tocca al Governo.
Che Rai vede dalla sua posizione? Quale creatura emerge, con pregi e difetti?
Vedo una creatura che negli anni è cresciuta come un mostro: ci sono le rovine greche, quelle romane e così via. La lottizzazione ha dato davvero i suoi effetti. Siamo partiti agli albori con una Rai che cercava un ingresso vero nella cultura italiana, con un canale e tutti che si riunivano a guardare quei programmi che non duravano nemmeno tutto il giorno: un’altra televisione. Col passare del tempo, quando la televisione è stata sempre più compresa come strumento di potere, di lottizzazione e di posizionamento di persone nel mercato del lavoro, è accaduto che la politica ha fagocitato quest’azienda: ha messo dentro i “suoi”, poi altri dei “suoi”. Siamo arrivati a pensare che la lottizzazione fosse normale: tutti sapevamo che Rai1 era legata alla Dc, Rai2 al Psi e Rai3 al Pci, questo fatto però non era normale e si è visto lo scatafascio cui siamo arrivati. Non era una cosa normale e non ce la potevamo permettere: noi dobbiamo avere un giornalismo Rai che faccia un servizio pubblico, rispondendo agli interessi della collettività e non dei partiti, senza correnti. Non credo all’oggettività del giornalismo, ma penso che il giornalista, nell’essere soggettivo, debba essere onesto intellettualmente e libero, se è così può arrivare dove vuole.
La televisione però non è solo giornalismo, c’è anche molto altro.
Certo, si parla di prodotto editoriale: lo sono l’intrattenimento, l’educazione, l’informazione… la totalità del prodotto dev’essere di alta qualità. Della Rai mi sono fatto l’idea che purtroppo è un soggetto ibrido: è un’azienda di stato che però raccoglie contemporaneamente il canone e la pubblicità; è una Spa pubblica, una forma non chiara che porta vari problemi. Forse dovremmo iniziare a non raccogliere la pubblicità, magari avendo meno canali ma che facciano vera opera di servizio pubblico con i proventi del canone.
Quando dice “meno canali” si riferisce a quelli tematici o a quelli generalisti?
Ora la Rai ha una quindicina di canali: escludendo quelli generalisti, alcuni hanno uno share davvero basso, ma non è questo il problema, perché il servizio pubblico si può fare a prescindere dagli ascolti. Il punto è va ripensata la programmazione generale della Rai e anche la sua struttura generale, comprese le sedi regionali.
Partiamo dalla programmazione, anche perché in questo momento la sua commissione si sta occupando del nuovo contratto di servizio con la Rai. Cosa c’è di positivo nel contratto e cosa deve assolutamente cambiare?
Io credo che il contratto di servizio debba essere molto chiaro, senza lasciare spazio a dubbi. Le faccio un esempio: nel contratto in scadenza c’era un articolo che obbligava la Rai a pubblicare gli stipendi di tutti i suoi dipendenti sul suo sito, ma subito dopo si diceva che l’operazione sarebbe stata fatta solo dopo la riunione di una commissione paritetica Rai-Ministero, in cui si fosse deciso come attuare la pubblicazione. Ho guardato gli atti e la commissione si è riunita una sola volta e ha rimandato l’applicazione dell’articolo, sine die di fatto, perché poi non ci sono state altre riunioni. Le cose che scriviamo e le indicazioni che si danno devono essere chiare. Sul piano degli stipendi e dei curricula dei dirigenti e di coloro che intrattengono a ogni titolo rapporti di lavoro con la Rai, conduttori compresi, noi abbiamo scritto chiaramente che – come la normativa vigente ormai vuole – tutto dev’essere pubblicato, punto, senza zone grigie. Questo è uno dei punti, ma c’è anche la trasparenza sugli appalti, sulla scelta delle fiction, sulla scelta dei film da finanziare: trasparenza e chiarezza, dunque, in tutte le procedure.
C’è qualcosa di positivo invece in quel contratto, da mantenere?
Per esempio la parte sulle disabilità, anche se va ampliata. C’erano punti chiari, nella direzione giusta, ma erano limitanti: a fronte del pagamento totale del canone da parte di una persona disabile l’accesso al servizio era comunque dimezzato; stiamo cercando di portare questo servizio al 100%, per evitare che ci siano due pesi e due misure. Va tenuto tutto il riferimento al pluralismo dell’informazione, anche se sul punto la Vigilanza è svuotata di potere, visto che i compiti sanzionatori sono tutti dell’Agcom.
Ma se la Commissione chiude bottega, i suoi compiti finiranno all’Agcom, i cui componenti spesso non sono proprio lontani dalla politica?
L’Agcom ha nomine politiche, assolutamente: si deve riformare tutto il modello di governance della Rai e di scelta dei controllori. Il punto, secondo me, è che occorre una legge del Parlamento che chiarisca perfettamente le procedure di elezione e nomina di soggetti che dovrebbero essere indipendenti, mentre oggi spesso devono il loro incarico ai partiti e non votano certo contro il loro datore di lavoro.
Che idea si è fatto sul modello di governance da applicare?
Ce ne sono molti nel mondo e li stiamo studiando: la Bbc, per esempio, nomina il suo direttore generale dopo un concorso pubblico, con un trust che seleziona la figura tra i curricula inviati. Quello che più mi sconvolge è che è un sistema culturalmente diverso: se un direttore generale o il presidente di un consiglio di amministrazione sembrano anche invischiati nella politica perdono di credibilità. Il paese intero non li vuole perché non sono a garanzia del servizio pubblico. Allora noi dobbiamo anche riuscire a cambiare la cultura, l’atteggiamento che abbiamo nei confronti di varie aziende del paese: non dobbiamo può fare riferimento alla politica, ma alla meritocrazia e alla comprovata indipendenza rispetto al percorso di ciascuno, molto semplice. Dobbiamo solo trovare il modo chiaro e trasparente per far si che vengano scelte persone così.
Tradotto in concreto: chi ha o ha avuto una tessera di partito non dovrebbe a qualunque titolo lavorare in Rai?
La tessera di partito una persona può tranquillamente averla, perché ci crede. Il punto è che non deve pensare di portare acqua in modo improprio al mulino del partito: qui diventa un problema culturale, un conflitto di interessi. Secondo me, persone che hanno avuto una vita politica di un certo tipo, non possono poi essere nominate direttore generale, presidente del consiglio di amministrazione, direttore del settore fiction. Occorre che siano persone di comprovata libertà e indipendenza. Oggi però in Italia abbiamo un grande problema: pensiamo che i “tecnici” o i grandi manager possano risolvere tutto, quindi magari abbiamo una figura come Gubitosi che gestisce la tv dal punto di vista manageriale, però non comprende niente di prodotto editoriale.
In qualche modo era stata l’accusa rivolta anche al cda Rai “dei professori”, tra il 1993 e il 1994.
Del resto è lo stesso giudizio che si può dare del governo Monti: un governo di tecnici, che però non è riuscito a cavare un ragno dal buco. La visione, secondo me, dev’essere politica, dei cittadini, poi ci si può avvalere anche di tecnici per realizzare al meglio alcuni punti.
Parlava prima di appalti: la Rai ha il grosso problema di esternalizzare molte produzioni rispetto alle competenze che aveva e forse sta cominciando a perdere: cosa può fare il suo organo, soprattutto in chiave di indirizzo?
La Commissione può dire in ogni circostanza – e lo abbiamo fatto anche quando sono venuti qui i vertici dell’azienda – che devono essere valorizzate le risorse interne, a discapito delle risorse esterne. Non vale solo per gli appalti: pensi ai registi, agli autori esterni all’azienda che vengono chiamati per realizzare certe trasmissioni e magari vengono pagati molto. Questo è incredibile: la Rai ci costa 3 miliardi di euro, il canone sono circa 1,7 miliardi di euro, gli appalti esterni valgono circa 1,3 miliardi. Un’azienda che ha chiuso il 2012 con 250 milioni di euro di perdite perché dovrebbe continuare a ricorrere agli esterni, quando le risorse interne sono 13mila, tra tempo determinato e indeterminato? Non sono valorizzate adeguatamente e, a non usarle, si rischia come diceva lei di perdere delle professionalità, col rischio di non riuscire più a produrre programmi di un certo tipo. All’esterno si dovrebbe riservare solo quello che internamente non si riesce a produrre.
In ambito radiotelevisivo ovviamente non c’è solo la Rai: c’è un panorama molto più ampio, su cui la Commissione non ha titolo per intervenire. Non ce l’ha nemmeno su una partita molto delicata che si gioca e si giocherà, quella delle frequenze. Come andrà a finire secondo lei? Porterà qualche beneficio?
Il fatto è che oggi il mondo delle frequenze è cambiato moltissimo con la televisione digitale. Abbiamo un operatore come Sky, uno come Mediaset Premium, c’è la Rai e una marea di altri canali digitali: far funzionare una tv con un suo circuito e un suo audience è sempre più difficile, per cui certe frequenze hanno anche un valore minore. Dobbiamo capire se ci saranno imprenditori che vogliono investire su quelle risorse. A maggio 2016 però ci sarà il rinnovo delle concessioni alla Rai per il servizio pubblico e lì alcuni imprenditori sarebbero sicuramente pronti a investire.
Passando alla situazione del MoVimento 5 Stelle, decisamente delicata: secondo lei cosa sta accadendo?
Per me internamente la situazione è molto chiara e semplice. Fin da prima delle elezioni politiche, ovunque, da tutti i palchi, abbiamo detto che probabilmente, con il modello nuovo di selezione delle candidature che ci siamo dati, un 10% degli eletti avrebbe potuto essere “a rischio”: potevano arrivare persone che magari culturalmente non erano vicine all’idea del movimento, oppure persone che hanno un’età più avanzata e hanno una cultura in sé dei partiti. Quello che sta succedendo è fondamentalmente che un gruppo di persone non si ritrova più con quello che abbiamo detto sui palchi, quindi sulle nostre promesse, sul nostro programma elettorale.
In che modo?
Ogni giorno di più si è creato un gruppo che voleva farsi valere come corrente interna, come accade in altri partiti. Da noi però non sono previste le correnti interne. Noi facciamo riunioni ogni settimana, una o due, e durano ore: parliamo di tutto, chi è d’accordo e chi no, non c’è nessun problema sul cosiddetto “dissenso”, non è un problema. E’ invece un problema se tu non vieni alle riunioni oppure vieni e, qualsiasi cosa si decida, anche dopo una discussione di dieci ore, vai fuori a sparare a zero sui colleghi e sul MoVimento.
Tradotto in concreto, chi non è d’accordo su una decisione presa in riunione, deve comunque votare secondo l’indirizzo che prevale in quella sede oppure può esprimere in qualche modo il suo disagio, magari astenendosi o non partecipando al voto?
Noi ci siamo dati una regola: dopo ore di discussione – perché noi facciamo ore di discussione, realmente… come dice Nuti, noi siamo i campioni mondiali delle riunioni infinite…
Mangiate nel frattempo?
No, non mangiamo. Si digiuna e quando si finisce, anche se è mezzanotte o l’una di notte, ognuno va a mangiare, chi a casa, chi fuori.
Dura trovare qualcosa di aperto a quell’ora…
C’è un ristorante qui vicino: pizza, via, veloce… Comunque, dopo tutta questa discussione di solito troviamo una sorta di accordo con la maggioranza che si esprime in un certo modo e alla fine tutto il gruppo vota così. Se poi c’è proprio un nodo spinoso, con una questione che va contro i principi etici e morali di una persona, ne possiamo anche parlare tranquillamente. Casi così estremi su questioni così particolari non ne ho visti.
Questo dunque prevede che si possa anche votare in dissenso, senza però enfatizzare quel voto nei rapporti coi media?
Il punto vero è la lealtà verso i compagni di viaggio e i cittadini che ti hanno votato con un progetto, un’idea di MoVimento. Se noi abbiamo detto da tutti i palchi che il Pd è uguale al Pdl e che non faremo alleanze, dialogando e votando su singole questioni nell’interesse dei cittadini, non possiamo cambiare in corso d’opera, perché tradiremmo le persone: è un fatto di coerenza. Queste persone, che andavano con Grillo e gli altri sui palchi a dire che il Pd è uguale al Pdl, sono arrivate qua e magari, per fare un esempio, hanno votato per Grasso alla presidenza del Senato.
Era così grave quell’atto, secondo lei?
Sì.
Se il nome votato fosse stato un altro, sarebbe stato grave allo stesso modo?
Sì, sarebbe stato grave, certo. E’ grave perché era una questione in cui noi non dovevamo entrare. Oltretutto Grasso veniva anche da una storia particolare, quella con Caselli, con la legge ad personam per la guida della Procura nazionale antimafia rispetto al requisito dell’età; Grasso poi ha detto che Berlusconi e il suo governo si erano distinti sul piano della lotta alla mafia, insomma è una figura con luci e ombre. A volte si vede in un certo modo una persona, per poi accorgersi che quella persona in realtà è altro, è il camuffamento del sistema.
Voi siete stati accusati finora di “non scendere mai a patti” con gli altri, vi si ricorda che la politica comunque non può prescindere dal compromesso. Respingete questa accusa?
La respingiamo assolutamente… Cosa significa “compromesso”? Significa arrivare in questa cloaca che oggi è il Parlamento, in cui ci si è spinti a fare un compromesso sempre maggiore, con le tv di Berlusconi, con le leggi ad personam, con l’accettazione dei condannati nelle liste? Tutto è stato fatto, tutto: avere fatto il Porcellum e non un’altra legge elettorale migliore, avere parlato vent’anni di conflitto di interessi senza fare poi la legge, per risparmiare una parte ed essere in equilibrio. E’ chiaro che io, con queste persone che hanno rovinato l’Italia, io non farò nessun compromesso. Il compromesso è cosa buona, secondo me, quando viene fatto da due soggetti “sani”, quando di due persone una ama mangiare la pizza, l’altra la carne e scelgono un ristorante che le offra entrambe; noi oggi invece dobbiamo essere assolutamente intransigenti con chi ha distrutto l’Italia. Fare un compromesso con queste persone, di cui non ti puoi neanche fidare, significa distruggere un movimento e la speranza di tanti cittadini che lo hanno votato. Noi dobbiamo essere intransigenti: quando riusciremo a cambiare definitivamente le cose, si potrà fare il compromesso, ma tra soggetti sani. Ora non sono soggetti sani, né credibili.
A costo quindi di dire sempre “no” ora?
Di dire sempre “sì” alle leggi che vanno nell’interesse dei cittadini, di dire “no” a quello che va contro al loro interesse. Il compromesso per noi oggi va contro l’interesse dei cittadini.
Quando alcune delle vostre battaglie hanno dato esiti, ad esempio la “espulsione” di Berlusconi dalle Camere, voi vi siete lamentati perché non vi veniva riconosciuto il merito di quei risultati, mentre le altre forze politiche tenevano a mettere in luce il loro contributo e a ridurre o escludere il vostro. Può essere che il M5S, anche per ragioni di propaganda, abbia rivendicato meriti più spesso del dovuto, negando quelli di altri?
Il punto vero è questo: una storia non si può analizzare solo fotografando il presente, si analizza anche il passato. Io so che Berlusconi è rimasto vent’anni in questo paese per colpa della sinistra italiana: questo è un dato di fatto, non ha fatto opposizione, non ha combattuto, ha fatto un compromesso e si è sporcata le mani. In qualche modo si è venduta: se pensiamo al discorso di Violante a Montecitorio (quello del 28 febbraio 2002, nda), in cui si sottolinea che non si era fatta la legge sul conflitto di interessi e che Berlusconi era stato dichiarato eleggibile nonostante le concessioni tv, dice tutto sulla storia di questi ultimi vent’anni, e ancora non sappiamo tutto. Siamo arrivati al 2013 in queste condizioni, al Senato abbiamo chiesto il voto palese: ci siamo inseriti come “terzo incomodo”, siamo stati visti come invasori di un meccanismo che era appannaggio dei partiti. Se Berlusconi è decaduto dopo vent’anni, passati sei mesi dall’arrivo del M5S in Parlamento, c’è un motivo: noi inchiodavamo le persone e ai partiti alle loro responsabilità e sarebbe stato difficile spiegare al paese, soprattutto per la sinistra, perché non lo si faceva decadere.
Quindi anche ciò che gli altri hanno fatto di buono ve lo devono?
Secondo me sono stati molto costretti. Che poi esistano, all’interno dei partiti, persone in buona fede, oneste, che cercano di fare bene il loro lavoro non c’è dubbio; sono però inserite in un meccanismo che non può portare al cambiamento.
I suoi colleghi che hanno presentato le loro dimissioni nei giorni scorsi in Rete sono stati giudicati in modo negativo, sebbene con le dimissioni abbiano disinnescato il sospetto più grave, quello di lasciare il gruppo per tenersi lo stipendio intero. Perché allora queste critiche? Devo immaginare che ci siano altre ragioni, ad esempio che possano non confermare le dimissioni in un secondo momento?
Innanzitutto noi abbiamo problemi con le rendicontazioni di alcune persone, ad esempio la Bignami: in assemblea ogni volta si dice “Perché c’è questo comportamento? Perché si fa così?”, ma dopo un anno non si può più sottacere. Secondariamente, probabilmente credo che queste persone saranno nel gruppo misto e tra poco potranno creare un gruppo di dieci persone al Senato.
Anche se hanno presentato le loro dimissioni?
Sì.
Devo dedurre che abbiate sentito qualcosa, un sospetto non sorge così…
Eh (abbozza un sorriso), il sospetto è nel percorso che ho visto fare a queste persone durante un anno. Non so niente di più di quello che sa lei, ma penso che ci sia fortemente questa possibilità. Delle ultime persone che si sono dimesse magari una vorrà davvero dimettersi, ma gli altri assolutamente no. Gli altri vorranno fare un gruppo, magari di dieci persone al Senato, …
Tutto questo, ripeto, nonostante la presentazione delle dimissioni?
Sì. Rimaniamo comunque alla buona fede delle persone. Quelle dimissioni dovranno essere votate una per una dalla Camera di appartenenza e vedremo… probabilmente il Senato non voterà a favore, perché per prassi è stato sempre così. Una volta respinte le dimissioni, vedremo se ci sarà la loro seconda presentazione e poi anche la terza, quando solitamente la Camera di appartenenza si esprime in senso favorevole.
Cosa può dirmi della presunta mail di Federico Pizzarotti a sostegno degli espulsi dal gruppo del Senato, mail che lui ha smentito?
No, non sapevo nemmeno della mail, avevo letto solo il suo post su Facebook ma del messaggio via mail non so nulla. Quanto alla vicenda dell’incontro, se si fa un incontro con i candidati sindaci, che può essere anche utile per dare loro delle informazioni, è giusto concordarlo tutti insieme, mi pare il minimo. Se si vuole organizzare un incontro nazionale, ci si può tranquillamente far aiutare dallo staff di Beppe per avere anche tutti i candidati sindaci e consiglieri, per fare una cosa fatta nel modo migliore.
Come vede i prossimi mesi per il M5S, elezioni europee comprese?
Noi dobbiamo fare come MoVimento un grandissimo lavoro. Tutti i week-end andiamo nelle piazze a spiegare la nostra attività parlamentare, nelle riunioni sul territorio… siamo sempre in giro e spieghiamo quello che facciamo ai cittadini, in un confronto libero con tutti, interventi del tutto pubblici. Secondo me stiamo costruendo un nuovo paese, ma non lo sta facendo solo il M5S: lo sta facendo questa nuova cultura che si sta muovendo e spero un giorno superi anche il MoVimento, che è un progetto a termine. Io tra vent’anni non potrò essere in Parlamento, ma se lei vedrà il M5S ancora qui nelle Camere, avremo fallito: se ci sarà ancora bisogno di noi, staremo inguaiati!
C’è qualcosa di questi mesi passati qui che non rifarebbe?
Non so se c’è qualcosa di inevitabile: i primi tre mesi sono stati molto pesanti, non credo che siamo riusciti a gestirli in modo chiaro, anche noi eravamo poco chiari. Eravamo sotto uno tsunami di informazioni, nel Palazzo che non conoscevamo: non sapevamo nemmeno la strada per i bagni, figuriamoci il funzionamento di tutta la macchina; uscivamo ed eravamo attorniati da telecamere, gente… un assalto vero. Se fossimo riusciti a gestirlo con meno emotività e più lungimiranza avremmo potuto fare meglio quei mesi iniziali… ma non rispetto all’accordo col Pd eh? Avremmo potuto gestire meglio anche le dirette streaming.
Il rapporto del M5S con la presidente di Montecitorio Laura Boldrini rappresenta indubbiamente una situazione problematica: cosa c’è al fondo che non va? Troppa suscettibilità da una parte o dall’altra? E’ qualcosa di superabile?
Secondo me Laura Boldrini non è adeguata come presidente della Camera: è una persona che gioca la partita e non è a tutela delle forze politiche all’interno del Parlamento. Chiama “eversori” il 25% della popolazione che democraticamente ha votato una lista come il M5S e ha raccolto le firme per candidarsi alle elezioni. Dice cose di una gravità enorme e non è la conoscenza dei fatti; ha applicato la “ghigliottina” alla Camera, che non è prevista dal regolamento e nemmeno dalla prassi… è inutile che vada da Fazio a dire che per la prima volta ha usato una prassi, una cosa che linguisticamente non sta in piedi. Non abbiamo un buon rapporto con lei, ma non è una questione personale: è una questione di merito. Pensiamo che sia succube delle decisioni dei partiti e che non abbia il polso per guardare avanti e tutelare davvero le forze politiche e i cittadini in generale.
Le spiace non essere stato eletto lei presidente della Camera, visto che era stato candidato?
No! (ride)