L’UE alla prova della regolamentazione del mondo digitale
Internet: pubblico o privato?
Il mondo di internet è uno spazio pubblico o uno spazio privato gestito dalle aziende proprietarie dei diversi spazi web che ogni giorno frequentiamo?
Quando scriviamo una stringa nel campo di ricerca di Google, è come se stessimo chiedendo un’informazione ad un passante su una piazza? Quando scriviamo qualcosa sul web, un post o un messaggio in una chat privata, è come se stessimo dicendo qualcosa in un bar seduti al tavolino? E quando compriamo qualcosa su Amazon, è come se fossimo all’interno di un vero e proprio esercizio pubblico in un centro commerciale?
Ecco, la risposta a questa domanda ci fornisce anche la risposta sul fatto che il settore di internet e del commercio digitale debba essere regolamentato. Perché se le piattaforme come i social o i gruppi di e-commerce, sono paragonabili a spazi veramente pubblici, allora spetta al “pubblico” regolamentarlo e vigilare. Se invece il luogo è privato, sarà il suo titolare a porre le regole, come avviene in un club esclusivo, e a dotarsi di un proprio sistema di vigilanza.
L’Unione Europea ha scelto una via di mezzo con una forma di regolamentazione che colloca il settore digitale a metà tra il pubblico e il privato, ponendo regole comuni e lasciando il ruolo di auto-controllo in mano all’organizzazione stessa.
Due nuovi Regolamenti europei
Lo scorso 15 dicembre la Commissione europea, titolare della prerogativa propositiva di proposte di legislazione comunitaria, ha formalizzato la proposta di due nuovi Regolamenti (fonti di norme di diritto dell’UE che, lo ricordiamo, sono direttamente applicabili negli Stati, senza necessità di un recepimento) nel settore digitale: Digital Service Act (DSA) e Digital Markets Act (DMA).
L’intento è quello di offrire, ai consumatori da un lato e alle aziende dall’altro, alcune garanzie che vanno dalla corretta informazione (e quindi la possibilità di “fidarsi” di ciò che appare in rete) al rispetto delle regole della concorrenza già valide per il mercato tradizionale, come affermato dalla Vice-Presidente esecutiva della Commissione Margrethe Vestager.
Due obiettivi senz’altro ambiziosi, e pienamente in linea con quello che ormai conosciamo essere il grande complesso di norme del mercato comune: la libertà di concorrere, la libertà di acquistare e la sicurezza di avere standard minimi comuni in ogni Paese dell’Unione.
Sono numerose le norme contenute nei due documenti.
DSA – Digital Service Act
Il primo, il DSA, prevede regole che toccano sia le grandi che le piccole piattaforme e che mirano, sostanzialmente, a garantire quella sicurezza di internet che talvolta può essere minata da contenuti o prodotti illegali, notizie di dubbia provenienza, gestione poco trasparente dei dati che riguardano la diffusione di messaggi pubblicitari mirati.
Allo stesso tempo, sempre il DSA, prevede che gli utenti ricevano garanzie sulle modalità di controllo dei sistemi informatici da parte delle aziende, e quindi richiede sia nuovi obblighi per le grandi piattaforme per prevenire attacchi hacker mirati al furto di dati degli utenti, sia tutele, in tema di libertà di espressione, per quegli utenti che hanno visto cancellati propri contenuti dal web in modo erroneo.
Resta il meccanismo di base che affida alle piattaforme il ruolo di “guardiani” del loro spazio e richiede loro di dotarsi di strutture proprie per assicurare la corretta informazione e il rispetto delle regole. Un meccanismo che porta i team dei diversi social a rimuovere i contenuti inappropriati, spesso identificati tramite algoritmi con un limitatissimo intervento umano (seppure previsto in taluni casi).
Non si tratta, va detto, di un sistema che – come accade negli USA – considera le società di internet alla stregua di editori, responsabili dei contenuti che vengono pubblicati dagli utenti: siamo in presenza, in effetti, più di un meccanismo di controllo integrato, previsto già dai Codici di autoregolamentazione in materia di hate speech e fake news del 2016 e del 2018. Una sorta di commistione, come avevamo detto, tra una vera e propria normativa pubblica che impone obblighi e garanzie alle aziende, per le aziende e per i consumatori, ed una soft law lasciata ai providers stessi per assicurare tali garanzie.
DMA – Digital Markets Act
Tornando ai documenti proposti dalla Commissione, il DMA si pone invece come contraltare al DSA, ovvero come garanzia contro gli effetti negativi che le attribuzioni lasciate alle aziende potrebbero avere nella libera concorrenza all’interno del mercato unico. I destinatari di questo regolamento non sono, in effetti, tutti gli operatori di internet in modo indiscriminato, ma più segnatamente le principali aziende per dimensioni e quote di mercato. Ovvero quelle che potrebbero essere in grado di imporre ai consumatori i propri prodotti in modo illegittimo, limitando la concorrenza e la possibilità di accedere al mercato ad aziende più piccole.
L’idea è quindi di fare in modo che alcuni attori, grazie alle loro dimensioni, non diventino dei veri e propri legislatori in grado di dominare il loro settore e trasformare la soft law in un potere che produce strozzature tra aziende più piccole e consumatori. Così è previsto, ad esempio, che si possano vietare pratiche sleali come impedire la disinstallazione di app o software preinstallato nei dispositivi elettronici; ma è previsto anche che le stesse aziende si impegnino per garantire che il software di terzi possa funzionare e interagire con l’ambiente da loro gestito o controllato.
Come è arrivata la Commissione a proporre una tale regolamentazione?
Il percorso, già sperimentato in altri settori come quello della tutela della privacy, ha contemplato diverse fasi di analisi e consulenza tecnica, che hanno previsto anche la richiesta di osservazioni e considerazioni da parte dei diretti interessati.
Alcuni attori hanno dato un giudizio positivo, come il responsabile delle politiche pubbliche di Mozilla, che accoglie positivamente la normazione del settore; altre hanno sospeso il giudizio in attesa di un ulteriore approfondimento.
Non stupisce che Mozilla, azienda sì privata, ma che opera nel settore del software libero, sia tra le più favorevoli a questa regolamentazione. Essa, sostanzialmente, impedirebbe agli operatori del software proprietario e ai produttori di hardware di diventare oligopolisti, sfruttando il loro potere di mercato e la possibilità di siglare partnership esclusive.
Non stupisce nemmeno che queste ultime aziende sospendano il giudizio, essendo in gioco la loro possibilità di dominio su Internet e del settore digitale.
Il percorso della regolamentazione ora prevede che la proposta sia sottoposta alla procedura legislativa ordinaria, con l’adozione congiunta del testo da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, ai sensi degli articoli 289 e 294 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Fonti e approfondimenti
Per quanto riguarda la notizia della proposta della Commissione europea sul DSA e DMA:
- Comunicato stampa della Commissione: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_2347
- Il parere degli operatori digitali sulla proposta: https://www.theparliamentmagazine.eu/news/article/european-commission-receives-mixed-response-to-digital-services-and-digital-markets-acts
Sull’impegno dell’Unione Europea nel settore del digitale e le strategie politiche implementate si può vedere Martinelli F. (2018). Manuale di diritto dell’Unione Europea, Edizioni giuridiche Simone, pp. 401-402.
Qualche ulteriore spunto sul perché è opportuno introdurre una regolamentazione della rete e del settore digitale lo si può trarre da Rampini F. (2014). Rete padrona. Feltrinelli e da Rodotà S. (2014), Il mondo nella rete. Quali diritti, quali vincoli. Laterza.