Prato, il caso Cenni
“Non posso neppure pagarmi un caffè o fare benzina all’auto. Pensate che i giudici mi hanno sequestrato pure i contanti trovati in casa”. Tocca una punta di amarezza il declino di Roberto Cenni, 59 anni sindaco di Prato ed ex patron di Sasch. L’ultimo colpo alla sua vita personale e di riflesso alla sua immagine di leader politico gli è stato inflitto lunedì sera quando il tribunale di Prato su indicazione dei curatori del fallimento ha disposto il sequestro conservativo su 85 milioni di euro di beni della famiglia e dei soci. Sono stati aggrediti conti corrente, automobili, motorini, case intestate e pure i 7.000 euro di risparmi del figlio quindicenne Piergiulio.
[ad]Appena qualche settimana prima, il 23 dicembre era arrivata un’altra batosta: l’avviso di garanzia col più pesante capo di imputazione per un imprenditore, l’accusa di bancarotta fraudolenta. Al turbamento in realtà dedica soltanto un momento. Alle disavventure giudiziarie e alle sconfitte sul mercato ha saputo reagire con un’invidiabile padronanza di sentimenti. Mai una parola d’eccesso, il sindaco eletto nel 2009 da una coalizione di centrodestra allargata alle liste civiche si è tenuto finora lontano da ogni recriminazione verso la magistratura.
Non si sente un perseguitato dalle toghe rosse, come invece comincia a credere il deputato locale del Pdl, Riccardo Mazzoni che ha depositato un’interpellanza urgente al ministro della giustizia per conoscere con quale ratio normativa è stato scelto fra i curatori del fallimento Sasch, Evaristo Ricci candidato per il consiglio comunale da Sinistra Ecologia e Libertà proprio nelle elezioni che hanno incoronato Cenni. Dal canto suo dice “che sarebbe stato più opportuno se non avesse accettato” ma continua a nutrire fiducia nella giustizia. Una linea di prudenza che gli permette anche di giustificare lo stretto ancoraggio alla poltrona di sindaco. Dimissioni? “Potrei fare un passo indietro soltanto se mi rendessi conto di non poter più servire bene la mia comunità o se il consiglio comunale decidesse di sfiduciarmi” è il leit motiv di questo mese. L’atto della sua cacciata, d’altronde, si è trasformato in una vera botta di adrenalina per la quale deve ringraziare lo stesso Pd, che presentando una mozione di sfiducia all’indomani dell’avviso di garanzia si è appiccicato l’immagine di partito giacobino. Risultato? Maggioranza compatta nel respingere il 1° febbraio la risoluzione democrat e opposizione divisa, con i due consiglieri di Futuro e Libertà che hanno ripiegato verso l’astensione. “Mi dicono che sono un imbarazzo per la città – è l’unica stoccata ammessa dal lessico odierno di Cenni –, forse a sinistra vivono una fase imbarazzante da quando hanno perso la guida della città dopo 63 anni del loro governo ininterrotto”. Fisiologico si dirà, a livello nazionale il berlusconismo ha sdoganato l’avviso di garanzia e l’inchiesta penale nel pieno di un mandato di governo, ma c’è un elemento che rende quasi incomprensibile agli occhi di un osservatore esterno il suo modus pensandi. Con tutto il suo patrimonio sequestrato e l’avviso di garanzia sulle spalle la prima cosa che fa è presentarsi alle telecamere per sorridere e minimizzare. La volontà di restare in sella indubbiamente c’è, ma difficile immaginare che sia una tattica comunicativa per rassicurare l’elettorato. Il pensiero inevitabilmente finisce sulla figura con la quale ha sempre cercato di proiettarsi nell’agone politico pratese. L’imprenditore vincente, che come il nocchiero nella Repubblica di Platone affronta ogni traversia mediante la sua tecnica. Anche al costo di negare spudoratamente la realtà. Come il 17 ottobre il giorno in cui Sasch fu costretta a uscire dalla procedura di concordato preventivo e a chiedere il fallimento in proprio. “Provo amarezza, ma serve a tutelare i creditori” commentò a caldo scatenando l’ironia dei corrispondenti di giornali locali e nazionali.
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