Dopo le primarie genovesi – che hanno visto l’affermazione di Marco Doria candidato “indipendente”, appoggiato da SEL e la conseguente “sconfitta” del sindaco uscente Marta Vincenzi e di Roberta Pinotti, senatrice, entrambe candidate in quota PD – da molte parti è stato fatto un parallelo secco con le primarie di Napoli (competizione annullata), Cagliari e soprattutto Milano per avvalorare la tesi di un Partito Democratico “perdente”, soprattutto nelle grandi città, incapace di portare all’affermazione il proprio candidato e il partito.
[ad]Una prima lettura può portare a questa conclusione.
Ma un’analisi più accurata porta ad altre considerazioni.
Soprattutto nel caso di Milano.
Il Partito Democratico, nelle primarie dell’autunno 2010, aveva scelto di candidare Stefano Boeri, urbanista e architetto, a suo tempo eletto nella costituente del nascente Partito Democratico. Una candidatura sostenuta davvero da tutto il partito? Non proprio.
Alla candidatura di Stefano Boeri è stata “affiancata” quella di Valerio Onida, voluta anche da esponenti del PD milanese, alcuni ben agguerriti, che non hanno perso occasione per far percepire agli elettori delle primarie il candidato Boeri come “sponsorizzato” solo dall’establishment del partito, per insinuare dubbi sulla “regolarità” del comportamento del PD nella fase della campagna elettorale per le primarie.
Inoltre, altri autorevoli esponenti del PD, hanno sostenuto esplicitamente Giuliano Pisapia.
Come sempre, tutto legittimo. Ma è indubbio che la candidatura di Stefano Boeri è stata nei fatti indebolita e da molti elettori percepita come “di parte”, non come scelta corale del collettivo (il partito).
Come sappiamo Giuliano Pisapia ha poi vinto le primarie (che magari avrebbe vinto comunque, chi lo sa).
Cosa è successo dopo le primarie a Milano?
Il PD (quello che aveva sostenuto Boeri) si è messo a lavorare a testa bassa per far vincere Pisapia. Boeri in primis.
Le elezioni sono state vinte e Giuliano Pisapia è diventato Sindaco di Milano, dopo vent’anni di governo del centro destra.
E per il PD com’è andata? Ha ottenuto il 29% dei consensi (quasi il primo partito, a un’incollatura dal PDL), sono stati eletti 20 consiglieri su 29 della maggioranza, 140 consiglieri di zona, 7 presidenti (sempre di Zona) su 9. E nella giunta formata da Giuliano Pisapia ci sono ben 5 assessori del PD, tra cui lo “sconfitto” delle primarie, Stefano Boeri.
Se è vero quanto dice il segretario Bersani (“dopo le primarie ci sono le ‘secondarie’ ed è quelle che a noi interessa alla fine vincere”) nel caso di Milano il Partito Democratico è uscito più che vincente. E rappresenta un caso paradigmatico a cui sarebbe utile fare più spesso riferimento.
Partito Democratico dunque che diventa partito di governo in una delle città più importanti del paese.
Dopo quasi nove mesi è possibile iniziare a fare un primo (parziale) bilancio, non tanto dell’operato della Giunta milanese, ma di come il PD “si comporta” e di come “appare” nel suo (nuovo) ruolo di partito di maggioranza alla guida di Milano.
La sensazione più immediata è che il PD faccia non poca fatica a “reggere il ruolo”, come se soffrisse di una sorta di “sindrome negativa” della vittoria.
Sebbene tutti gli assessori del PD siano riusciti a caratterizzare in modo positivo ed efficace il loro operato, qualificando l’azione della Giunta, la percezione che si ha è che l’azione degli assessori non sia sufficientemente legata/sostenuta/alimentata dal partito. Come se mancasse un luogo, nel partito, dove fare sintesi positiva e mandare all’esterno un messaggio forte e univoco, capace di restituire un’immagine (e una sostanza) del PD come soggetto trainante della maggioranza di governo.
Prova ne è la difficile relazione con la capogruppo in consiglio comunale, che appare (troppo) spesso e incomprensibilmente in contrasto con alcune importanti scelte dell’amministrazione (e degli assessori PD). Mandando messaggi confusi e contradditori agli elettori e agli iscritti, creando sconcerto in tanti consiglieri, in particolare quelli eletti nelle zone, impegnati a ri-costruire una buona politica in città.
(per continuare la lettura cliccare su “2”)
[ad]Stefano Boeri, nel corso di questi mesi, ha più volte sollevato il tema della “rigenerazione” del partito milanese, nell’idea che il PD possa e debba essere luogo privilegiato di “interscambio” tra iscritti, cittadini, amministratori, per costruire pezzi di contenuto della politica dei prossimi anni. Con modalità e linguaggi nuovi.
Per ri-dare forza al partito e rendere protagonisti (anche) i circoli sul territorio, troppo spesso mortificati a essere (soltanto) il braccio operativo del partito.
Non sempre Stefano Boeri ha trovato le modalità giuste per trasmettere i suoi stimoli, in questo scontando probabilmente un approccio alla politica poco da “uomo di partito” (ma in tanti lo apprezzano proprio per questa caratteristica).
Ciò non toglie che il tema sollevato sia cruciale per il PD milanese che, finora, non sembra abbia saputo raccogliere lo stimolo lanciato. Forse anche perché tante delle figure più rappresentative del partito sono ora impegnate come amministratori e hanno in qualche modo lasciato “sguarnito” il PD. Ma proprio per questo, le sollecitazioni di Stefano Boeri appaiono urgenti.
Per ri-consegnare al PD milanese il ruolo, affidatogli dagli elettori nel maggio 2011, di partito di maggioranza nel governo della città.