Tra le prime firme delle deputate Pd sul documento che chiede un impegno concreto del Partito democratico sull’effettiva parità di genere nella nascente legge elettorale c’è anche la sua, assieme a nomi noti come Marina Sereni, Barbara Pollastrini e Alessandra Moretti e a un personaggio di caratura elevata come Flavia Piccoli Nardelli. Anche la reggiana Vanna Iori ha votato a favore delle norme che salvaguardavano l’eleggibilità delle candidate, ma i voti contrari, anche tra i banchi dei democratici, per tre volte di seguito hanno vinto. Durante i lavori dell’aula la Iori accetta di parlare: l’amarezza c’è, la determinazione a non mollare pure. Ammesso che al Senato qualcosa cambi.
Onorevole, cosa c’è davvero che non va, per voi che avete firmato quel documento, nel testo licenziato dalla Camera, sul piano della parità di genere?
Beh, partiamo dalle cose che vanno. Il primo risultato positivo, nonostante non si sia raggiunto l’obiettivo della reale parità – cosa di cui mi dispiaccio molto – credo stia nel fatto che per la prima volta c’è stata una trasversalità tra i partiti delle donne che si sono messe in gioco su questo tema. Vedere ieri le donne del Nuovo centrodestra e di Forza Italia vestite di bianco, come segnale della loro presa di posizione lo trovo una cosa positiva; non erano le donne del Pd schierate contro il resto del mondo, ma “tutte” le donne di tutti i partiti. Tutti tranne uno però, il MoVimento 5 Stelle, che invece si è dichiarato compatto contro le norme sulla parità di genere, sostenendo la necessità di valorizzare le competenze e il merito: purtroppo la storia ci insegna che questi non sono sempre il criterio con cui vengono scelte le candidature, per cui ho molti dubbi su questa presa di posizione.
Però è innegabile che, nel segreto, una parte consistente del Pd e forse anche delle elette del Pd non ha votato a favore di quelle norme…
Certo, questo è l’aspetto negativo, proprio così. C’è stato un disimpegno non solo tra alcuni uomini del Pd, ma anche tra alcune donne del Pd. Qui devo fare un discorso generazionale: sono soprattutto le più giovani che non hanno vissuto gli anni delle conquiste dei diritti delle donne e li danno per scontati. Molto spesso non si rendono conto di quanto sia facile fare un passo indietro e di quanto sia stato difficile farli in avanti.
Lei adduce una ragione di formazione, visti anche i suoi studi in pedagogia, ma non è malizioso dare una lettura anche politica di questo voto, non trova?
No, non è malizioso. Sicuramente sulla questione delle donne si esprime una partita più ampia che riguarda alcune dinamiche dialetticamente espresse anche – dunque non solo sotterranee – interne al partito e al gruppo. Diciamo che dentro questo esito ci sono tante questioni, che non sono solo la questione di genere (certamente anche quella). Che la questione di genere sia vissuta anche da alcuni parlamentari come una minaccia, che la democrazia paritaria per certi aspetti faccia ancora paura è innegabile; è altrettanto vero però che è difficile dare una lettura completa ed esaustiva, perché il voto è stato segreto ed è difficile da interpretare. Io mi sto limitando a riflessioni, intuizioni, ipotesi che non possono essere suffragate da dati oggettivi perché non c’è stato un voto palese. Posso dire che c’è certamente una questione legata al genere, con una difficoltà maschile ad accettare la parità; c’è uno scarso impegno femminile a cogliere la portata di questo voto, ma certamente non posso escludere che ci siano state anche dinamiche interne al partito.
Brunetta e, a suo modo, anche Renzi sono stati molto duri, dicendo in sostanza che attraverso il cavallo di Troia della parità di genere si voleva far saltare l’accordo Renzi-Berlusconi. Che fondamento può avere questa voce?
Beh, era una delle possibilità chiaramente.
Al Senato però su queste questioni non ci sarà il voto segreto…
No, non ci sarà, infatti nel documento che ha visto e cui ho contribuito – lo stiamo facendo circolare e sono arrivati molti deputati uomini e donne ad aderire, questo è un bel segnale – parliamo della necessità di intervenire. Però anche al Senato, nonostante il voto palese, io non sono sicurissima che questo sia scontato: le posizioni politiche sono molto diverse e, in questo caso, non solo all’interno del Pd.
Alcuni degli emendamenti bocciati toccavano un punto nevralgico della legge, non tanto l’alternanza di genere ma il genere delle capolistature: chi ha scritto quegli emendamenti aveva capito che, in questo testo, conta quasi sempre solo il primo nome della lista…
Anch’io credo che erroneamente si sia continuato a parlare di “quote”: gli emendamenti arrivavano a chiedere almeno un 40% di capolista donne, quindi qualcosa di meno della parità. Sposandolo eventualmente all’alternanza, significava avere comunque una donna in seconda posizione qualora il primo nome fosse stato un uomo.
Però con le multicandidature il giochino potrebbe saltare o complicarsi maledettamente.
Esatto, è evidente. Solo nelle circoscrizioni maggiori è probabile che arrivi più di un eletto per partito, in molte aree ce ne sarà uno solo e sarà quello che conta. Senza l’alternanza o garanzie sulle prime posizioni, lo spazio effettivo per le donne rischia di ridursi molto.
Al Senato è ragionevole che esca una mediazione? Il vostro capogruppo Speranza ha comunque preso un impegno…
In queste ore, proprio mentre parliamo, so che si sta lavorando per trovare un accordo.
Secondo lei Forza Italia ha chiesto il voto segreto per mettervi in difficoltà?
Beh, può essere. Non mi sento di escluderlo. E’ plausibile, diciamo.
La spunterete alla fine?
Io me lo auguro vivamente, come donna e come parlamentare: non credo sia solo una questione che riguarda noi, ma è una questione di civiltà.