La settimana scandinava tra numeri e sondaggi
I numeri sono asettici ma fotografano la realtà. I sondaggi servono a capire lo stato di salute di un governo e a conoscere le opinioni della gente. Dalla Svezia all’Islanda, passando per la Finlandia, gli ultimi giorni in Scandinavia sono stati pieni di numeri.
In Finlandia il sondaggio condotto dall’Yle (l’azienda radiotelevisiva di stato finlandese) mostra come il panorama politico resti fluido pur mantenendo delle costanti. Al primo posto nel gradimento degli elettori c’è sempre il Partito di Centro, forza attualmente all’opposizione che negli ultimi mesi ha lasciato qualcosa per strada: dal 24,1 per cento di novembre al 22,8 di oggi. Perde terreno pure il Partito dei Finlandesi, altra compagine di minoranza: 16,9 per cento.
Guadagna invece il Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen che risale al 19,4 per cento, mai così in alto da oltre un anno ma comunque alle spalle dei centristi. I partner di governo laburisti restano invischiati in un 15,5 per cento che conferma i problemi emersi nei mesi scorsi.
I piccoli spostamenti dell’elettorato non cambiano infatti la sostanza: il governo multicolore di Katainen fa fatica, i socialdemocratici soffrono più di tutti e gli elettori continuano a dare fiducia alle opposizioni. Le elezioni europee di maggio potrebbero proporre risultati molto simili a questi.
In Svezia i sondaggi sul governo vanno aggiornati di settimana in settimana. Cambiano nel giro di pochi giorni, ma conservano un minimo comun denominatore: certificano il ritardo del governo di centrodestra. Secondo un sondaggio Expressen/Demoskop, la maggioranza otterrebbe il 34,6 per cento dei voti. I tre partiti di centrosinistra possono contare sull’appoggio del 53,7 per cento dell’elettorato. Diverse ma non troppo le cifre del sondaggio Aftonbladet/United Minds, secondo il quale il governo sarebbe al 37,6 per cento contro il 50,3 delle opposizioni.
Con questi numeri per il centrodestra è difficile credere in un terzo mandato consecutivo. I Moderati del premier Reinfeldt però non gettano la spugna: “Molto elettori non hanno ancora deciso per chi votare” ha ricordato il segretario del partito, Kent Persson. Ha ragione, ed è anche vero che la campagna elettorale non è entrata nel vivo.
L’ultima carta messa sul tavolo da Reinfeldt ha l’aspetto di investimenti per la scuola, con l’obiettivo dichiarato di avere classi meno numerose e insegnanti più qualificati. Ma probabilmente neanche questo servirà a ribaltare la situazione. Molti svedesi credono che il paese stia andando nella direzione sbagliata. Welfare, scuola e lavoro saranno argomenti centrali. E sono terreni sui quali tradizionalmente i socialdemocratici sono più forti.
Anche in Islanda i sondaggi più recenti possono essere utilizzati per capire qualcosa in più della piccola isola nell’Atlantico. Scende il gradimento degli islandesi nei confronti del loro presidente della Repubblica, Ólafur Ragnar Grímsson, uno che sta lì al suo posto dal 1996. Il 47 per cento degli abitanti dell’isola dice di fidarsi di lui: nel corso dell’ultimo anno Grímsson ha perso una dozzina di punti. Ma è in ‘buona compagnia’.
È bassa la fiducia nel governo ed è bassa anche quella nei confronti del Parlamento: 24 per cento, seppur in aumento rispetto al passato. Appena il 14 per cento dice di fidarsi del settore bancario.
Ma il discorso più caldo in Islanda resta il processo di adesione all’Unione europea stoppato dal governo di centrodestra senza passare per un referendum, come promesso in campagna elettorale. Da Bruxelles arrivano parole distensive. I quotidiani islandesi hanno riportato le parole di Cristian Preda, funzionario europeo che ha partecipato ai colloqui per l’adesione dell’isola, secondo il quale Reykjavík può prendersi tutto il tempo che vuole prima di decidere se riaprire o meno il negoziato.
Quello che Preda non dice è che di sicuro a Bruxelles stanno vivendo queste settimane con fastidio: nell’ultimo annetto il governo islandese ha giocato molto sull’incertezza, tenendo l’Ue in bilico. Poi è arrivato l’annuncio della chiusura dei colloqui. E sono scoppiate le proteste dei cittadini, i quali non hanno molta voglia di Europa ma si sono sentiti traditi e pretendono di avere quel referendum promesso mesi fa. Secondo un sondaggio Gallup, il 72 per cento della popolazione vuole una consultazione popolare.
Le pressioni dell’opinione pubblica stanno facendo scricchiolare il governo: il premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson ha lasciato aperto qualche spiraglio. Ma oggi tra Reykjavík e Bruxelles ci sono tanti chilometri e tanto freddo.