Di Speradisole:
Forse mi si prende per masochista. Difendo un partito che sembra che si dia sempre delle botte sulle palle e non riesca ad uscire dal buco dove, sperano in molti, sta precipitando. Pare impossibile, ma lo faccio con tutto il cuore.
Lo difendo adesso più che mai perché lo vedo attaccato dalla stampa di famiglia e non solo, con gran compiacimento, stampa che cerca di demolire l’unico ostacolo cha sa di dover affrontare, alle prossime elezioni. Infatti non si preoccupa minimamente di Di Pietro, del Grillo e tanto meno di Vendola, anzi, attacca l’unico scoglio che sa di non poter sorpassare, il Pd.
Questa opera demolitiva della destra di regime riceve una buona mano da parte di tutti quelli della sinistra che “odiano” il Pd, per il fatto di essere un partito di centrosinistra e di non occuparsi, a loro dire, della sinistra.
Lo sostengo prima di tutto perché è un partito. Nel paese dove la parola partito viene schifata e dove nascono solo dei movimenti corporativi (Lega) e semplicemente contro tutto e tutti (Grillo), un partito è come un grande faro piantato in un mare in burrasca.
Le critiche che si fanno sono feroci, sia al partito che al suo segretario.
La prima è quella che non abbiamo leader. Può darsi che come appeal con Bersani siamo piuttosto bassi, ma siamo alti come lealtà ed onestà, e questo è una bandiera immensa al giorno d’oggi da sbandierare con orgoglio. Sinceramente, a sinistra, ci è bastato Bertinotti, quello di sinistra sinistra che si è rivelato il peggior nemico della sinistra. L’abbiamo visto all’opera e abbiamo constatato i risultati. A me è bastato come leader della sinistra pura e dura. E di leader alla Berlusconi stiamo alla larga ben volentieri. Non vogliamo padroni.
La seconda. Ha tradito il PCI. Ma quale PCI? Quello a cui sono stata iscritta, quello tutto unito (ma era difficile non esserlo). Ebbene si combatteva certo, ma che cosa ottenevamo, oltre che stare al’opposizione? Le più grandi conquiste sono state ottenute con il compromesso storico, quello che faceva gridare al tradimento!
La terza. Dato che alle primarie vincono di solito, non sempre, ma di solito i candidati appoggiati dal Sel, significa che il Pd è finito. Ma come potrebbe finire un partito che accetta di fare le primarie di “coalizione” democraticamente ed accetta di appoggiare dopo “chiunque” vinca? Questa a casa mia si chiama democrazia. Il PD avrà difetti, ma con le primarie si mette in gioco e rispetta i risultati. Nessun paragone con un movimento amebico che si chiama popolo e che viene governato da un padrone.
La quarta: Adesso siccome si sostiene il governo Monti, e si cerca di modificare la legge elettorale anche “collaborando” con il Pdl, secondo l’opinione dei detrattori del partito, facciamo inciuci indecenti.
Le motivazioni che hanno spinto il Pd ad appoggiare questo governo tecnico sono note,per non finire nel baratro dove l’amoralità politica di un governo irresponsabile ci stava portando, e non sono state motivazioni dettate da calcoli di convenienza, perchè se si andava subito alle elezioni le avremmo vinte. Per me sono motivazioni validissime.
Vogliamo cambiare la legge elettorale, come minimo, ma non avendo la maggioranza in parlamento non abbiamo altro modo che quello di coinvolgere tutti coloro che intendono cambiare questa legge. Non so se Alfano (che parla a nome del comandante di Arcore) è sincero, certo non è Berlusconi in prima persona. Questo fa un po’ di differenza.
Il Pd è nato dopo la disastrosa esperienza dell’Unione, per essere un partito nel tempo in cui tutti denigrano i partiti. Il Pd è nato per portare l’Italia fuori dalla Seconda Repubblica, fuori dal berlusconismo e dal male che ha sparso.
La strada da intraprendere è obbligata. Un rapporto più aperto e intenso con il popolo delcentrosinistra e la capacità di leggere le necessità dei tempi difficili che stiamo vivendo. Tempi in cui una crisi mai creduta da parte della destra ci sta divorando e tempi in cui occorre modificare anche la mentalità dello scontro non solo per ottenere consensi, ma per pensare al bene di questo paese.
E a proposito di “primarie”, il caso di Genova dimostra che c’è un’area forte, motivata, non qualunquista né populista del Paese che si aspetta dal Pd un apporto di rinnovamento dello stile politico più grande di quello che si vede.
Il messaggio però che in questi anni ha trasmesso Bersani è incontestabile anche per quello che riguarda il ruolo delle primarie nell’ascolto delle attesa autentiche e della piena legittimazione delle scelte dei cittadini. Le primarie debbono essere il segnale del dover cogliere le aspettative del Paese e non uno strumento della classe politica di cui rischia di esprimere le rivalità interne più che la forza di governare.
Di fronte a questi messaggi le primarie valgono di più delle parole perché sono un evento, una proposta di interventi critici, di fatto una riforma strutturale della selezione politica, non sono sondaggi ma un’occasione imperdibile di vicinanza tra cittadini e politica.
E solo un partito vero, come il Pd è capace di fare le primarie e di seguire, a conclusione di esse, le scelte dei cittadini che si sono espressi.
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