Dibattito dei Repubblicani in Arizona: le pagelle
Se il dibattito di Mesa (Arizona) doveva essere l’occasione per Rick Santorum di infliggere un duro colpo alla campagna elettorale di Mitt Romney, l’impresa è clamorosamente fallita. Il pubblico della serata, che a giudicare dalle reazioni simpatizzava più per Romney che per altri, ha avuto infatti la possibilità di godere della prestazione pressochè impeccabile dell’ex governatore del Massachusetts, che potrebbe aver seriamente ridimensionato le ambizioni di successo del suo più diretto rivale del momento.
[ad]Santorum, infatti, è apparso sin dall’inizio nervoso e impacciato, messo in difficoltà sia da Romney che da Ron Paul sulle incoerenze della sua passata vita politica da senatore della Pennsylvania. All’accusa di aver spesso sostenuto in Congresso aumenti al tetto del debito non compensati da simmetrici tagli alla spesa e a quella di aver votato a favore di programmi che sostengono la contraccezione mentre si vanta tra gli elettori evangelici di essere contrario ad ogni forma di controllo della riproduzione, Santorum ha più di una volta fornito balbettanti giustificazioni e poco vendibili garanzie sul suo sincero pentimento riguardo a quelle scelte sbagliate compiute in passato. Stesso copione si è ripetuto a proposito del programma educativo “No child left behind ” lanciato dall’amministrazione Bush, che Santorum ha sostenuto con il suo voto e che ora racconta di voler cancellare per risparmiare denaro pubblico e affidare sempre maggiori fette di istruzione alla non meglio definita gestione delle comunità locali e delle famiglie.
Il dibattito ha toccato, seppur a volte rapidamente, tutti i temi caldi della campagna, compresa quella politica estera che fino ad ora non sembra aver interessato particolarmente i candidati repubblicani alla presidenza. In particolare, si è parlato di Iran, argomento su cui i tre maggiori candidati (Santorum, Romney e Gingrich) sostanzialmente concordano nell’addossare accuse di debolezze all’amministrazione Obama e nel proporre più o meno chiaramente l’intervento militare come opzione da tenere sempre più in considerazione. Unica voce discordante quella di Ron Paul, molto distante dal tradizionale approccio non solo repubblicano ma anche democratico alla politica estera. Le sue parole d’ordine: pacifismo, disinteresse verso tutto ciò che succede aldilà del confine americano (compreso Israele), cancellazione di buona parte delle iniziative militari e di qualunque forma di sostegno allo sviluppo. In nome, soprattutto, di un obiettivo preziosissimo che domina la sua campagna: il taglio delle spese.
Questo dell’Arizona è stato il ventesimo dibattito dall’inizio della campagna per le primarie repubblicane. E probabilmente sarà anche l’ultimo, dal momento che non ne sono previsti altri. Martedi 28 votano Arizona e Michigan, il 3 marzo lo Stato di Washington ed entro il 10 Marzo altri 11 Stati. Il favorito Mitt Romney sembra aver fatto segnare un punto a suo favore con quest’ultimo dibattito e solo una sconfitta in Michigan (dove i sondaggi lo davano, alla vigilia del dibattito, in sostanziale parità con Santorum) potrebbe frenarne l’ascesa verso la nomination. D’altra parte, le sorprese non sono da escludere, dal momento che non sarebbero certo le prime a caratterizzare questa sfida interna al Partito Repubblicano.
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