Romano Prodi è tornato a parlare di attualità politica e l’ha fatto nella sua Bologna in occasione della presentazione del libro Ammazziamo il Gattopardo, scritto da Alan Friedman. L’ex presidente del Consiglio ha ricordato che il taglio del cuneo fiscale era stato proposto dall’Unione nel lontano 2006: “Quando il mio governo adottò la misura, del valore di 7 miliardi e mezzo di euro, il giorno dopo ci hanno sputato tutti sopra”. E poi ha sentenziato: “È stata un’esperienza scioccante”.
Non sono mancate, però, stoccate a Confindustria e sindacati, che hanno osteggiato sin dall’inizio le proposte economiche del centrosinistra a guida Prodi: “C’è il senso che il Paese sia all’ultima spiaggia e che una soluzione vada maturata in fretta. C’è una grandissima attesa, bisogna agire anche rischiando. C’è un presupposto positivo – ha detto l’ex premier – le parti sociali sembrano più disposte ad accettare rischi, la Confindustria è più disposta a dialogare, il sindacato è più disponibile”.
Prodi ha poi rivelato che la sfida di Renzi è, a suo parere, molto rischiosa: “Sta facendo una scommessa molto alta, quindi ha necessità di fare in fretta, per incontrare le aspettative. La difficoltà è che Renzi sa che se non cambia le cose subito, viene corroso, e allora non avrà più tempo”. Il padre nobile del Pd ha anche ammesso che “in Italia c’è un’atmosfera di attesa, con presupposti positivi, ben diversa da quella che c’era nel passato”, ma ha anche ricordato che, durante la seconda esperienza a Palazzo Chigi, il debito pubblico “era al 104%, oggi è oltre il 130%”.
Il Professore ha concluso con un’annotazione sulle prossime Europee: “Saranno un banco di prova pro o contro Renzi. Il giorno dopo la chiusura delle urne i parlamentari capiranno come dovranno comportarsi con il suo esecutivo”. Mentre non sembra ancora aver smaltito la delusione per la mancata elezione al Quirinale: “Quello che mi fece male davvero accadde qualche giorno prima. Berlusconi disse che come Capo dello Stato loro avrebbero accettato qualunque nome del Partito democratico, tranne il mio. Ecco, nessuno si ribellò a queste parole. Quello mi ferì”.
Fabrizio Neironi