Settimana complicata soprattutto per i mercati finanziari europei, buttati nel panico dalla crisi in atto fra Ucraina ed Russia sulla questione dei russi residenti nella zona orientale e sud orientale del primo paese, oltre che ovviamente in Crimea, attraverso i quali Mosca vuole imporre un controllo su almeno una parte dello strategico territorio di Kiev.
Dopo la dichiarazione di indipendenza di Simferopoli (legale quanto quella del Kosovo, stando al diritto internazionale) e il referendum (che invece è stato illegale e non democratico) in Crimea, che ha visto la vittoria “sovietica” dell’annessione alla Federazione russa, la palla adesso passa ai Paesi occidentali, che dovranno decidere se dare seguito alle (timide) minacce di sanzioni contro Putin.
Le sanzioni economiche possono avere grandi effetti sulla Russia, e in parte ne abbiamo già avuto un assaggio, basti guardare la borsa di Mosca, colata a picco in settimana, oppure dando uno sguardo al declino del rublo, sostenuto solo da una banca centrale a suon di miliardi di dollari (il che, date le riserve valutarie poco sotto i 500 miliardi, è ancora accettabile). Mosca non può bloccare le forniture di gas all’Europa, perché le tasse su greggio e simili rappresentano metà del bilancio statale, mentre l’Europa può farne (in parte) a meno, anche se con difficoltà.
A spingere per le sanzioni, infatti, sono soprattutto gli Stati Uniti (e infatti la Russia, nel corso della settimana scorsa)ha rimpatriato i suoi investimenti in titoli di Stato USA stoccati a Washington per trasportarli laddove non possono essere congelati), mentre gli altri Paesi del G7, in particolare la Germania (e l’Italia, che si accoda alle decisioni di Berlino), spingono per la cautela.
Se però avesse davvero intenzione di mettere all’angolo Putin, Washington può fare da sola: basterebbe che si decidesse di accelerare il percorso di rafforzamento del dollaro per far crollare il prezzo del petrolio e quindi fare pressione sul bilancio statale russo. Il greggio, infatti, paga il welfare di Mosca, ma soprattutto paga la corruzione, sicché Putin potrebbe avere qualche problemuccio a tenere la situazione in equilibrio.
Si tratta però di un’arma a doppio taglio: in primo luogo accelerare il tapering rischia di creare pressioni troppo forti e troppo in fretta in altri Paesi emergenti (per esempio la Turchia, fondamentale per un’eventuale guerra calda con la Russia); ma soprattutto mettere all’angolo la Russia non è esattamente una buona idea, visto che accelererebbe il precipitare degli eventi.
La carta jolly della crisi potrebbe chiamarsi Pechino: la Cina, infatti, ha tutto l’interesse perché l’economia globale non abbia shock e perché non passi la “moda” delle dichiarazioni di indipendenza. All’ONU Pechino ha deciso di astenersi, lasciando la Russia sola contro il mondo (13 su 15 membri del Consiglio di Sicurezza sono stati a favore della censura contro Mosca): la Cina non poteva votare a favore, perché non vuole perdere i rapporti con la Russia, ma non poteva neppure votare contro, perché avrebbe riconosciuto la volontà di indipendenza di un altro popolo, il che l’avrebbe reso più debole alle richieste di tibetani e uiguri, magari scatenando forti disordini interni.
La Cina sta affrontando una difficile transizione economica e un probabile rallentamento dell’economia, e dunque è (come sempre) interessata al mantenimento dello status quo più che mai e può essere un’ottima mediatrice in questo conflitto a patto che i giocatori coinvolti non facciano colpi di testa (e questo vale soprattutto per l’Ucraina, che si è dimostrata per nulla conciliante).
E passiamo all’agenda macroeconomica della settimana: fra gli eventi più importanti troviamo l’indice ZEW tedesco, in uscita martedì, che dovrebbe rimanere in zona “ottimismo” sopra i 50 punti, mentre l’indice dei prezzi al consumo USA dovrebbe crescere di un mero 0,1 per cento mensile e di 1,6 per cento su base annua, di fatto non destando preoccupazioni.
Mercoledì sarà il giorno più importante dell’ottava, con la Fed che renderà note le sue decisioni in materia di politica monetaria: è prevista una conferenza stampa del presidente Yellen.
Giovedì, oltre alle solite nuove richieste di disoccupazione, attese sempre stabili intorno alle 330 mila anche dopo l’inattesa discesa a 315 mila della scorsa settimana, occhi puntati sull’indice della Fed di Philadelphia, che dovrebbe mostrare un ritorno alla crescita per l’importante settore manifatturiero della regione.
Per venerdì, infine, si attende il ritorno alla crescita su base mensile degli ordini all’industria dell’Italia.