“Il Senato degli Stati Uniti è composto da due Senatori per ogni Stato, eletti dagli abitanti dello stesso, per un mandato di sei anni; a ogni Senatore spetta un voto”
(dal 17° Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti)
Conservativo per definizione, il Senato, camera alta del potere legislativo statunitense, è forse l’istituzione che meglio rispecchia il federalismo americano. Al suo interno gli Stati godono di eguale rappresentanza, a differenza della camera bassa, ove la rappresentanza è proporzionale alla popolazione di ogni singolo Stato.
Proprio la questione della rappresentatività fu uno degli aspetti più dibattuti e controversi durante la Convenzione costituzionale di Philadelphia. Se da un lato, infatti, i delegati degli Stati più popolosi sostenevano il Virginia Plan di James Madison (che propugnava il principio proporzionale tanto per la Camera quanto per il Senato), dall’altro i delegati degli Stati meno popolosi, temendo il dominio della maggioranza, chiedevano eguale trattamento nella cornice di un sistema confederale. Si giunse quindi al “Grande Compromesso”: i componenti dei due rami del Congresso sarebbero stati scelti secondo principi di rappresentatività diversi.
Presieduto dal Vicepresidente degli Stati Uniti (che ha la facoltà di esprimere il voto decisivo in caso di parità), il Senato differisce dalla Camera dei Rappresentanti anche per cadenza elettorale. Ogni due anni, infatti, si tengono elezioni per tutti i 435 seggi della Camera, mentre solo un terzo del Senato viene rinnovato: questo perché i Senatori sono divisi in 3 classi, cui corrispondono diverse scadenze di mandato.
I poteri del Senato
La camera alta degli Stati Uniti deriva la sua importanza dallo stretto intreccio con il potere esecutivo, del quale costituisce, insieme al sistema giudiziario, il più formidabile strumento di controllo (check) e contrappeso (balance).
Concorre, con la Camera dei Rappresentanti, alla produzione legislativa: ogni proposta (bill) richiede infatti l’approvazione di entrambi i rami del Congresso per diventare legge. Allo stesso modo, le proposte possono essere presentate in entrambi i rami senza distinzione, eccettuati i disegni di legge in materia di tassazione, che per Costituzione debbono originare nella camera bassa.
Ben più della Camera dei Rappresentanti, tuttavia, il Senato ha il potere di incidere sull’agenda politica del Presidente in carica, ingerendo significativamente anche nel dominio riservato dell’Esecutivo: la politica estera e di sicurezza nazionale.
La camera alta, infatti, esercita il potere di “consiglio e consenso” (advice and consent) su tutte le più importanti nomine presidenziali. Così, i ministri, i vertici di gran parte delle agenzie federali, gli ambasciatori, i giudici della Corte suprema e gli altri giudici delle corti federali – nominati dal Presidente – necessitano dell’approvazione del Senato per entrare in funzione. Tipicamente, i candidati a un ruolo governativo o giudiziario sono vagliati da una commissione apposita del Senato (Giustizia, Esteri, Forze Armate, Energia ecc.) per poi ricevere il voto a maggioranza dell’aula nella sua totalità.
Al Senato, inoltre, spetta la ratifica dei trattati internazionali firmati dal Presidente. Non tutti gli accordi intergovernativi, però, sono considerati trattati dal diritto statunitense, e in varie occasioni ciò ha permesso all’Esecutivo di aggirare l’obbligo di ratifica da parte del Senato.
La camera alta, poi, processa i funzionari federali posti in stato d’accusa dalla camera bassa (impeachment), con i Senatori a svolgere il ruolo di giuria. Perché un funzionario federale (o il Presidente stesso) venga giudicato colpevole e quindi rimosso dal suo incarico, è necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi dei Senatori (67/100).
Secondo il 12° Emendamento, infine, il Senato ha il potere di eleggere il Vicepresidente degli Stati Uniti qualora nessun candidato vicepresidenziale abbia ottenuto la maggioranza dei voti del Collegio elettorale. La Camera dei Rappresentanti gode della medesima prerogativa in merito all’elezione del Presidente.
L’importanza dei ballottaggi di gennaio
Come ogni altra sfaccettatura della politica istituzionale americana, anche il funzionamento del Senato si declina secondo i canoni del two-party system. Ai due partiti corrispondono due caucuses o conferences.
Il caucus cui è affiliato il maggior numero di Senatori (vi possono anche essere Senatori eletti come indipendenti ma di fatto affiliati a un caucus, quali ad esempio Bernie Sanders e Angus King per il Partito democratico) costituisce, appunto, la maggioranza.
Solitamente, il partito di maggioranza esprime il presidente pro tempore del Senato (che fa le veci del Vicepresidente degli Stati Uniti), i presidenti delle commissioni e altre figure apicali.
I due partiti eleggono i rispettivi leader (attualmente il repubblicano del Kentucky Mitch McConnell, leader di maggioranza, e il democratico di New York Chuck Schumer, leader di minoranza). Il leader del caucus di maggioranza ha il potere di controllare l’agenda legislativa calendarizzando i dibattiti e le votazioni. Un ruolo svolto con particolare evidenza da McConnell, che di recente ha più volte bloccato sine die la discussione di proposte di legge già approvate dalla Camera dei Rappresentanti (controllata dai Democratici).
E’ facile comprendere, allora, quanto il Senato possa facilitare (o frustrare) le ambizioni del Presidente in carica e quanto dunque sia importante per l’inquilino della Casa Bianca potersi giovare di un Senato del suo stesso colore politico, specie a inizio mandato.
Di qui la crucialità degli imminenti ballottaggi senatoriali in Georgia. Se infatti i Democratici riuscissero a vincere entrambi i seggi in palio, sarebbero considerati partito di maggioranza perché il voto del Vicepresidente degli Stati Uniti romperebbe in loro favore la parità con i Repubblicani.
Lo status di maggioranza parlamentare permetterebbe a Chuck Schumer di controllare l’agenda legislativa anche tramite i presidenti delle commissioni.
Ad esempio, in caso di maggioranza democratica a presiedere la Commissione Bilancio sarebbe Bernie Sanders. In caso contrario, ne diverrebbe presidente il repubblicano Lindsey Graham.
Ai Repubblicani, tuttavia, basterebbe una sola vittoria in Georgia per mantenere il controllo del Senato, con tutte le conseguenze del caso per la nuova amministrazione guidata da Joe Biden.