Dopo avere visto i dati sull’occupazione e la disoccupazione dei laureati di diverse discipline con la crisi, un dato interessante è il tipo di lavoro in cui hanno potuto occuparsi a 5 anni dalla laurea nel 2013, confrontando i dati con quelli del 2008
Una delle prime cose da considerare è la proporzione di quanti trovano un posto a tempo indeterminato dopo la laurea, o almeno a 5 anni da questa, e quanti invece rimangono nella precarietà. Le tipologie di impego degli occupati sono molti, ma analizziamo la quota assunta a tempo indeterminato nel 2008 e nel 2013, nel seguente grafico:
Una delle prime evidenze è che il tasso per i laureati è certamente inferiore a quello degli occupati italiani, ovvero il neo-laureato medio ha un posto stabile con meno probabilità dell’occupato italiano con ogni probabilità non laureato, ma magari più anziano.
Se circa il 65% degli occupati ha ancora un posto a tempo indeterminato, è evidente che è un dato in discesa, e destinata ad assottigliarsi con gli anni poichè il gap è più che mai basato sull’età, più che sull’istruzione. Se neanche i laureati ricevono come contratto proposte a tempo indeterminato, significa che una riforma è quanto mai urgente se non vogliamo che il contratto a tempo determinato non diventi a regime residuale, ridotto a un 25-30% di fortunati, considerando tutti i lavoratori, anche non specializzati.
Tuttavia enormi differenze ci sono anche per disciplina: impressiona la differenza tra il 73,8% di ingegneri a tempo indeterminato e il 20% all’incirca tra i laureati in giurisprudenza o architettura. Differenza che aumenta se pensiamo ai diversi tassi di occupazione perchè chi proviene da discipline letterarie, giuridiche, psicologiche, ecc ha già un tasso di occupazione più basso e nonostante questo chi lavora non ha buone condizioni contrattuali. In più notiamo che nel caso di ingegneri e laureati in economia i lavoratori a tempo indeterminato sono addirittura aumentati, +5% nel caso degli ingegneri. Una nota positiva l’aumento anche nel campo delle discipline scientifiche. Diminuzioni generalizzate invece negli altri campi, più marcate in campo giuridico e psicologico, -10% in 5 anni.
E gli stipendi? Di seguito vediamo gli stipendi medi nel 2008 e 2013 per disciplina e sesso a 5 anni dalla laurea:
Come si vede permane una differenza di genere non marginale, e soprattutto tra discipline, anche se certamente molto meno spiccata delle differenze in tasso di occupazione e tipo di contratto. Appare molto evidente come la differenza di appetibilità delle diverse lauree si sia tradotta in disoccupazione o precarietà più che in stipendi, visto che anche i laureati in materie letterarie o psicologia superano i 1000€ se uomini. Il dato femminile potrebbe riferirsi anche all’uso del part time.
Viene da chiedersi se non fosse possibile avere maggiore flessibilità salariale in cambio di maggiore occupazione, o occupazione con contratti migliori. Sempre che vi sia l’elasticità necessaria per queste operazioni.
Vediamo di seguito come cambiano in 5 anni i salari medi per disciplina e sesso:
Vediamo aumenti di salario in campi come quello scientifico, l’economia e l’insegnamento, in ingegneria solo per le donne, per il resto diminuzioni anche pesanti, in discipline come architettura, psicologia, educazione fisica, in cui abbiamo visto anche un calo dei contratti a tempo indeterminato.
Di fatto c’è un calo deciso in anni in cui invece i salari medi hanno continuato ad aumentare a livello nazionale, pur se a ritmo ridotto. Di fatto quindi evidentemente c’è stato un aumento dei salari dei lavoratori più anziani e meno aggiornati e specializzati e una diminuzione dei salari di chi è giovane e istruito: la ricetta per il declino.
Inoltre c’è una diretta correlazione tra calo di contratti permanenti e calo dei salari, non vi è, e del resto non è prevista dalle strategie delle riforme del lavoro, un trade off tra sicurezza del posto e salario, ma lo abbiamo già visto.
Un altro elemento è la migliore performance relativa dellgi stipendi femminili, il gap lentamene si sta colmando, gli stipendi delle donne aumentano di più o si contraggono di meno di quelli maschili, e nonostante l’aumento della proporzione di occupazione femminile tra i lavoratori. Forse l’unico dato postivo di questi ultimi anni.