Damiano e Camusso: scintille con governo e Landini
Sono polemiche tutte interne al mondo della sinistra ad agitare le ultime ore del dibattito sulle riforme del lavoro proposte dal governo Renzi.
L’ex ministro del Welfare nonché esponente PD, Cesare Damiano, ha infatti criticato aspramente il decreto Poletti dalle pagine de “Il Manifesto”. Tra i punti più controversi c’è la durata (“3 anni con 8 rinnovi senza causale sono francamente troppi”).
Tale decreto, secondo l’onorevole del Partito Democratico “aumenterà il precariato, con un apprendistato senza più alcuna percentuale di stabilizzazione, rendendo inutile la delega e l’istituzione di un contratto di inserimento a tutele crescenti“. Per Damiano, quindi, tale decreto creerebbe una “liberalizzazione tale da rendere il contratto di inserimento inutile e sconveniente per qualsiasi impresa”.
Il presidente della Commissione Lavoro alla Camera, nel respingere l’eventualità di una approvazione del decreto “a scatola chiusa”, sottolinea l’importanza di non rinunciare ad una flessibilità “stimolante”, cioè un lungo periodo di prova non fine a se stesso ma con l’obiettivo finale di una conversione in un contratto a tempo indeterminato, “altrimenti condanniamo le giovani generazioni all’eterno precariato”.
Alla voce critica di Damiano si aggiunge anche quella del segretario della CGIL, Susanna Camusso. “Bene i progetti di riforma su scuola, IRPEF ed ambiente, ma il contratto a termine non va bene”. E’ questo, in sintesi, il giudizio della Camusso, che ritiene il dl sul Lavoro uno schema che porta “alla frammentazione e ad un aumento della precarietà, non conducendo verso un percorso di maggiori tutele e minando il principio della riconferma del lavoratore”.
Critiche da parte della Camusso anche al leader della FIOM Landini, che aveva accusato la CGIL di avere un atteggiamento ondivago nei confronti dell’esecutivo Renzi. “Landini non è la CGIL, ha opinioni che non rispecchiano quelle del sindacato generale”, il giudizio secco della Camusso.
Redazione