In grazia di Trump: i federal pardons del presidente uscente
Come spesso accade, negli ultimi giorni del suo mandato, il presidente degli Stati Uniti ha concesso la grazia a numerosi individui. Questo potere presidenziale, ha spesso dato vita ad accese polemiche sul merito di certi “salvataggi”. Non ultimi, i recenti provvedimenti presi da Donald Trump. Ma partiamo dal principio.
Cos’è la grazia presidenziale?
Come nel nostro ordinamento, la grazia è un provvedimento che cancella totalmente (o in parte) le conseguenze legali risultanti da una condanna. Secondo la Costituzione americana, questo potere è garantito al presidente dall’Articolo II, Sezione 2, Clausola 1. La grazia è una delle forme con cui si manifesta il potere di clemenza del presidente. In sintesi, questi sono:
- Grazia: provvedimento esecutivo che concede la “clemenza” per la condanna subita. Il presidente può concederla in qualunque momento, purché il crimine sia stato commesso.
- Commutazione della pena: “alleggerimento” della pena che la persona sta attualmente scontando ma senza cancellarla
- Annullamento della sanzione o restituzione
- Sospensione della condanna: pospone la pena ma essa rimane intatta
Va fatta un’importante precisazione: possono ricevere la grazia solo coloro che sono stati condannati per reati federali. Se il reato è contro lo Stato (nel senso di reato commesso contro Texas, California e via dicendo) questo “rimane” a livello statale e non federale (cioè contro gli Stati Uniti, intesi come la repubblica federale).
Infine, perché la grazia abbia effetto deve essere accettata dal ricevente.
Un presidente americano può concedersi la grazia?
La grazia presidenziale si porta dietro numerose controversie e numerosi punti di domanda. La possibilità che un POTUS (President of the United States) possa concedersi la grazia è stata studiata dai costituzionalisti americani ma mai messa in atto finora.
Durante lo scandalo Watergate, i legali del presidente Nixon sostennero che tale operazione fosse legale. Il Dipartimento di Giustizia tuttavia si espresse in maniera contraria, con un memorandum datato 5 agosto 1974.
Ma Nixon e la grazia rimangono due anime legate. Messo alle strette dallo scandalo, Nixon fece quello che nessuno prima (o dopo) di lui ebbe mai fatto: si dimise. A succedergli fu il vice-presidente Gerald Ford che subito lo graziò. Ma da cosa?
Tecnicamente Nixon non era accusato di nulla e con le sue dimissioni, il Congresso aveva interrotto le procedure per l’impeachment. Rimaneva tuttavia la possibilità che Nixon venisse indagato a livello federale. Con questa grazia, Ford, sostanzialmente garantiva l’immunità a Nixon per qualunque crimine potesse aver commesso, o meno, nella sua veste di presidente.
Questo atto viene visto come la causa della sconfitta di Ford alle successive presidenziali e più un favore fatto tra amici che a un gesto nell’interesse della nazione.
Come si è comportato Trump?
La presidenza Trump è stata controversa sotto molti punti di vista. Non sorprende quindi che anche la sua gestione del potere di grazia abbia creato polemiche.
Per 125 anni, il principale consigliere del presidente per il tema grazie è stato l’Office of Pardon Attorney del Dipartimento di Giustizia. Trump ha tuttavia spesso e volentieri bypassato questo ufficio e preso le decisioni di suo pugno. Questo ha generato critiche perché alcuni dei “graziati”, non possedeva i requisiti per ottenere tale beneficio.
Un altro aspetto che ha generato scandalo, è il fatto che le persone graziate da Trump siano suoi alleati o supporters.
I numeri delle grazie di Trump: panoramica generale
Dal momento della sua inaugurazione al 23 dicembre, Trump ha concesso 70 grazie e 24 conversioni della pena.
Come si vede dal grafico, dopo la sconfitta alle elezioni, il numero di grazie concesse è schizzato in alto. Per quanto riguarda le pene commutate, il totale di quelle post elezioni è otto. Tuttavia non si registra un boom come per le grazie concesse. Vediamo chi sono i principali beneficiari.
Le grazie post election day
Dato il gran numero di grazie concesse recentemente da Trump, ci concentreremo su alcuni tra i nomi più di spicco.
Michael Flynn
Tenente generale dell’esercito, ha svolto il ruolo di Consigliere per la sicurezza nazionale nell’amministrazione Trump. Incarico svolto per sole tre settimane prima di dimettersi.
Già prima della sua nomina, Flynn era una figura controversa: l’ex presidente Obama aveva sconsigliato a Trump di affidare a uno come lui un tale livello di potere e sia il The Washington Post che l’Associated Press lo avevano criticato per i suoi presunti legami con la Russia.
Durante il suo breve mandato da Consigliere, si è prodigato per implementare un canale di comunicazione tra le truppe statunitensi e russe in Siria, per evitare potenziali scontri non voluti e per coordinare la lotta a Daesh.
Cominciano i guai
Nel gennaio 2017, l’allora direttore del F.B.I. James Comey decide di interrogare Flynn in merito a sue presunte conversazioni con l’ambasciatore russo negli States, Sergey Kislyak. In questi dialoghi, Flynn avrebbe chiesto a Kislyak di convincere il suo Governo a non reagire troppo duramente nei confronti delle sanzioni statunitensi.
Queste indagini rientravano nel merito della più grande investigazione sulle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016. Nonostante le smentite del caso, le prove dell’avvenuta conversazione tra Flynn e Kislyak furono portate alla luce dal The New York Times, con la rivelazione che esisteva una trascrizione della stessa.
Poco dopo, Trump “chiese” a Flynn di dimettersi per aver tradito la fiducia della sua Amministrazione. Infatti secondo il presidente, le dimenticanze di Flynn riguardo a tale conversazione, avevano creato una situazione insostenibile per la presidenza.
Alla fine, Flynn si dichiarò colpevole di falsa testimonianza al F.B.I. e fu condannato. Tuttavia non sconto mai la pena per via di continui rinvii legali che trascinarono la cosa fino al recente pardon presidenziale.
George Demetrios Papadopoulos
Altro nome legato al Russiagate, ex membro del team di consulenti per la politica estera della campagna presidenziale di Trump. Come membro dello staff per gli esteri, Papadopoulos aveva continui contatti con agenti di altre nazioni. Nel maggio 2016, durante una visita a Londra, avrebbe detto all’ambasciatore australiano nel Regno Unito, Alexander Downer, che il team di Trump aveva ricevuto notizie su un possibile aiuto russo per la campagna. Questo sarebbe consistito nell’aiuto nella divulgazione anonima di informazioni dannose sia per la candidata democratica Hillary Clinton che per il presidente Obama.
In vena di chiacchere, Papadopoulos raccontò all’allora ministro degli esteri greco, Nikos Kotzias, che i russi erano in possesso di mail relative a Hillary Clinton.
In seguito lo stesso Papadopoulos affermò di essere pentito di non aver subito informato del fatto l’intelligence americana ma di aver utilizzato queste notizie per fare del gossip.
L’arresto e la dichiarazione di colpevolezza
Papadopoulos viene interrogato dagli agenti del F.B.I. a fine gennaio 2017, per chiarire se ci fossero stati contatti tra la campagna presidenziale di Trump e la Russia. Subito dopo, il suo legale gli suggerisce di disattivare il suo account Facebook, attraverso il quale aveva avuto contatti con agenti russi.
Sei mesi dopo, il 27 luglio, viene arrestato ma successivamente scarcerato senza cauzione. Da qui inizia a collaborare con il consulente speciale Robert Mueller nelle sue indagini sul Russiagate.
Le cose non si mettono per il meglio però: il 5 ottobre, davanti alla Corte distrettuale del D.C., si dichiara colpevole di falsa testimonianza al F.B.I.. Questo era parte dell’accordo con Mueller, in cambio del suo aiuto nelle indagini.
Aiuto che però non viene ritenuto di grande valore e Papadopoulos viene condannato, nel settembre 2018, a 14 giorni di prigione, 12 mesi di libertà vigilata e 200 ore di servizi sociali oltre a una multa di 9500 Dollari. La motivazione data è che le ripetute menzogne da lui dette agli investigatori hanno ostacolato le indagini e il suo aiuto non ha portato a nessuna scoperta rilevante.
Dal 26 novembre 2018 al 7 dicembre 2018, sconta la sua pena al FCI Oxford di Oxford in Wisconsin. Sconta dodici giorni dei 14 totali. Il 22 dicembre 2020 riceve la grazia dal presidente Trump.
Paul Manafort
Passiamo a un altro graziato coinvolto nel Russiagate: Paul Manafort. Lobbista, avvocato, consigliere politico, evasore fiscale ed esperto di frodi bancarie. Manafort ha avuto una lunga carriera come consigliere nelle campagne presidenziali repubblicane, da Ford fino a Trump.
Nella sua carriera di lobbista, ha spesso portato avanti gli interessi di dittatori o politici controversi: dai dittatori Ferdinand Marcos (Filippine) e Mobutu Sese Seko (Congo) fino al leader ucraino Viktor Yanukovych.
Il coinvolgimento nel Russiagate
Proprio per il suo lavoro per il governo filo-russo di Yanukovych, il 27 ottobre 2017, Manafort e il suo socio Rick Gates vengono accusati di vari reati da Robert Mueller e il primo finisce ai domiciliari. Nel giugno 2018, Manafort viene colpito da altri capi d’accusa tra cui cospirazione contro gli Stati Uniti e subornazione di testimone. Questo secondo reato sarebbe stato commesso durante i domiciliari e viene quindi disposto il suo trasferimento in carcere.
Nell’agosto 2018, viene processato alla Corte distrettuale dell’Eastern Virginia per: cinque capi d’accusa per evasione fiscale; due per frode bancaria; uno per aver nascosto un conto bancario all’estero.
Manafort si dichiara colpevole di cospirazione contro lo Stato e accetta di cooperare con gli investigatori. Ma anche questa volta, a novembre 2018, si trova contro Mueller che lo accusa di aver ripetutamente mentito agli investigatori. Il febbraio successivo, il giudice distrettuale del D.C. Amy Berman Jackson conferma le accuse di Mueller e l’accordo tra le parti viene annullato.
Nel giro di una settimana tra il 7 marzo 2019 e il 13, viene condannato prima a 47 mesi di prigione e poi ad ulteriore 43.
Ad agosto 2020, la commissione sull’intelligence del Senato (controllata dai repubblicani), conclude che le azioni di Manafort hanno creato un grave pericolo per il Paese e un’opportunità per la Russia di ottenere informazioni delicate su Trump.
Dopo essere stato rilasciato nel maggio 2020 per il pericolo della diffusione del COVID-19, Manafort riceve la grazia da Trump il 23 dicembre.
Escludendo gli arresti domiciliari, per i suoi crimini Manafort ha scontato circa due anni di carcere tra il giugno 2018 e il maggio 2020.
Roger Stone
Per capire chi sia Roger Stone, tornate qualche riga più in alto e rileggete l’inizio del paragrafo su Paul Manafort. I due sul finire degli anni ’80, hanno anche fondato insieme (e con Charles R. Black Jr) una società di lobbying. In dieci anni, la società diventa una delle principali vie di lobbying per le più grandi aziende americane e non.
Come membro del team della campagna presidenziale di Trump, Stone si è reso protagonista della diffusione di fake news e teorie del complotto. Il suo modus operandi è “Attaccare, attaccare, attaccare e mai difendere”. Amico storico di Trump, già nel 1998, suggerì al futuro presidente di candidarsi. In quel periodo Stone era il principale lobbista di Trump a Washington, per il suo business nel settore dei casinò.
Stone e Wikileaks
Nel corso della campagna presidenziale del 2016, il capo del team di Hillary Clinton, John Podesta, ha accusato Stone di essere stato a conoscenza dell’hackeraggio e successiva pubblicazione da parte di Wikileaks di sue mail private. Questa accusa faceva leva su una serie di tweet dello stesso Jones dove oltre a dichiarare l’imminente fine (politica) della Clinton, utilizzava ripetutamente l’hashtag #Wikileaks.
Nonostante questo, Stone ha negato di fronte alla Commissione sull’intelligence della Camera, di aver avuto notizia delle mail prima della loro pubblicazione o di aver avuto contatti con l’intelligence russa. In seguito dichiara di aver avuto contatti indiretti con il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, per avere informazioni su Hillary Clinton.
Agli inizi del 2017, The New York Times e The Washington Times pubblicano notizie che provano contatti diretti tra Stone e uno degli hacker responsabili del furto di mail di Hillary Clinton.
Nei due anni successivi si susseguono le accuse e le nuove rivelazioni sui legami tra Stone, Wikileaks e agenti russi. A gennaio 2019, Roger Stone viene arrestato dal F.B.I. nell’ambito delle indagini condotte da Robert Mueller. Le accuse di falsa testimonianza, ostacolo alle indagini e subornazione di testimoni.
L’accusa chiede una pena tra i sette e i nove anni e mezzo ma il Dipartimento di Giustizia, su apparente richiesta del presidente, chiede una revisione della severità della condanna.
Nel febbraio 2020, Stone viene condannato a 40 mesi di carcere dal giudice Amy Berman Jackson. Tuttavia a luglio, pochi giorni prima dell’inizio della sua incarcerazione, Trump commuta la sua pena ed elimina la detenzione in carcere. Il 23 dicembre il presidente concede la grazia completa a Roger Stone.
Charles Kushner
L’ultimo graziato “famoso” su cui facciamo un focus è un membro della famiglia Trump allargata. Charles Kushner è infatti il consuocero del presidente, essendo il padre di Jared, marito di Ivanka Trump e consigliere del presidente.
I primi problemi legali di Kushner risalgono al 2004, quando viene multato dalla Commissione elettorale federale per donazioni prive delle corrette autorizzazioni. Ironicamente, le donazioni erano al Partito Democratico.
Per questo reato, accetta un accordo con il procuratore generale del New Jersey e futuro governatore repubblicano dello Stato, Chris Christie. L’accordo prevedeva l’ammissione di colpevolezza per diciotto capi d’accusa per finanziamenti illegali, evasione fiscale e subornazione di testimoni. Quest’ultimo reato riguardava il cognato dello stesso Kushner. William Schulder, marito della sorella di Kushner, stava collaborando alle indagini. Per cercare di fargliela pagare, Kushner pagò una prostituta per avere un rapporto sessuale con Schulder, registrare il tutto e poi inviare il video a sua sorella.
Kushner fu condannato a due anni di prigione che finì di scontare nel 2006. Il 23 dicembre riceve la grazia dal consuocero.
Trump ha usato la grazia più dei suoi predecessori?
La risposta è no e addirittura Trump non è neanche tra i presidenti che hanno utilizzato più spesso il potere di grazia. In questa grafica possiamo vedere il confronto tra gli ultimi cinque presidenti.
Se però togliamo dalla “sfida” i tre POTUS che hanno servito per due mandati, Trump perde il confronto con Bush 41. Da notare che prima di dicembre 2020, anche Bush aveva concesso più grazie del presidente uscente.