Addio Segre e Raimondi, la critica letteraria piange
Una triste combinazione di eventi, un’inaspettata coincidenza: nel giro di due giorni ci hanno lasciato due capisaldi della filologia e della critica letteraria italiana: Cesare Segre ed Ezio Raimondi. Entrambi nati negli anni Venti, sono stati protagonisti della scena letteraria italiana per tutta la loro vita, dando un contributo impareggiabile alla nostra cultura. Il primo, Segre, era di origini semitiche e per questo dovette fare subito i conti con le legge razziali soprattutto a Torino, dove si laureò nel 1950 e dove venne iniziato agli studi di filologia dallo zio, l’illustre Santorre Debenedetti.
Sotto la sua ala, Cesare Segre seppe mostrare fin da subito le sue incredibili doti nella filologia, il suo fiuto e la sua passione che lo resero fin da ragazzo (già a 26 anni ottenne la cattedra di filologia romanza) un professore universitario acclamato in particolare a Pavia e Trieste, ma anche ad Harvard e oltreoceano. A lui si devono contributi importantissimi: oltre agli innumerevoli saggi di commento, ricordiamo le edizioni critiche della “Chanson de Roland”, delle “Satire” di Ariosto e, in collaborazione con Debenedetti, dell’”Orlando furioso”.
Di non minore rilievo fu, senz’altro, l’operato di Ezio Raimondi. Da sempre vicino all’Università di Bologna, dopo esservisi laureato divenne professore ordinario di letteratura italiana, operando – come ricorda Andrea Battistini, attuale docente dell’Alma Mater, suo allievo – una “socratica educazione permanente”. Non solo nei suoi moltissimi saggi su Dante, Machiavelli o D’annunzio , non solo quando era in aula: la sua attività accademica (e lo ricordano tutti i suoi studenti), non si esauriva mai. «Per Raimondi ogni luogo era buono per tessere una conversazione mai banale: in aula di lezione, innanzitutto, ma anche nei corridoi, sotto i portici, in attesa dell’autobus, a casa sua, sempre ospitale specie quando le file di studenti e di colleghi davanti al suo studio d’Università sono così lunghe da richiedere un’appendice, un supplemento di dedizione».
Ecco, si capisce cosa accomunava due studiosi come loro: la passione, innanzitutto, per una materia la cui validità non potrà ai essere messa in discussione di fronte ai loro operati; la consapevolezza di essere immersi in un’epoca di crisi morale ma anche la tenace convinzione di poter risvegliare i torpori intellettuali; l’occhio costantemente rivolto ai giovani, cui Segre dedicò, nel 2010, un bellissimo articolo sul Corriere incentrato sul degrado della nostra lingua e, sempre riguardo a questo disse l’anno seguente: «Mi rivolgo in particolare ai giovani: non fatevi rubare la vostra lingua italiana! Chi perde la propria lingua madre, non può più pensare. E chi non pensa, rimane vittima del potere».
Noi pensiamo anche, sulla stessa scia, che vittime del potere siano tutti coloro che non conoscono la propria cultura: allora Cesare Segre ed Ezio Raimondi, più di qualsiasi altro contributo intellettuale, forse inconsapevolmente, hanno aiutato ad essere liberi noi e tutte le generazioni che verranno.