Ivan Raffelli, a soli 26 anni, è il segretario dell’Associazione “Amici del Rimini Calcio”.
In un piccolo bar del centro di Bologna inizia una lunga chiacchierata che si concluderà con una certezza ormai adottata a pieno titolo da questa testata: il futuro del calcio appartiene ai tifosi.
Nel parlare della nascita dell’associazione romagnola i ricordi di Ivan non possono che tornare alla sciagurata estate del 2010.
“Da due anni ormai la società aveva messo in guardia i tifosi: senza un aiuto dalla città il Rimini sarebbe scomparso. In quella terribile stagione ci ritrovammo a disputare i playoff contro l’Hellas Verona (ben 443 tifosi biancorossi invasero il Bentegodi) pur sapendo che, a meno di miracoli, avremmo ben presto detto addio a quei palcoscenici. Il nostro destino era segnato: il Consiglio di Amministrazione della Cocif infatti sancì la mancata iscrizione della squadra al successivo campionato di Lega Pro. In pochi giorni passammo dal lottare per la Serie B alla liquidazione della società.
La Cocif, divenuta azienda leader nel settore della produzione di infissi grazie all’opera dell’indimenticato presidente Bellavista, decise di assolvere tutti i pagamenti arretrati abbandonando però la gestione della squadra. La morte di Vincenzo Bellavista ha interrotto il bellissimo ciclo vincente del Rimini: una squadra formata da futuri campioni che, senza la scomparsa del patron, avrebbe probabilmente conquistato la promozione in Serie A.”
“La Cocif, dopo la morte di Vincenzo, si è fatta carico del Rimini Calcio senza però avere la passione dello storico presidente biancorosso. Di anno in anno lo spettro dell’addio societario si faceva sempre più consistente, e nel 2010 l’incubo è divenuto realtà. Dalle ceneri della squadra romagnola sorsero due nuove società, entrambe iscritte nel campionato di Serie D: il Real Rimini Siti e l’A.C. Rimini 1912 di Biagio Amati,il quale fin da subito diede la sua disponibilità ad una partecipazione societaria allargata.”
L’inferno del calcio amatoriale non ha però scalfito la passione dei tifosi biancorossi, che appoggiarono la scalata al calcio professionistico del nuovo Rimini targato Amati, il quale si fece carico dell’intero settore giovanile orfano della Cocif.
Il Real Rimini per contro, nato senza l’appoggio dei tifosi, si spense con la stessa velocità con la quale era nato.
In questo clima scocca la scintilla tra i supporters riminesi. “Capimmo che potevamo e dovevamo diventare parte attiva nella gestione della società. Dopo varie consultazioni in seno alla tifoseria (e l’apporto, tra gli altri, di Andrea Gigliotti della “Cooperativa Modena Sport Club”) un gruppo di 12 soci fondatori decise di dare vita all’associazione “Amici del Rimini Calcio”: era il 28 febbraio 2011. Dopo esserci presentati alla città nel mese di Ottobre, in un’assemblea pubblica, deliberammo l’acquisto dell’1% delle quote del Rimini”.
Per molti potrà sembrare una quota misera o inutile, ma non è così: entrare nella società di calcio rappresenta la garanzia più importante di ogni supporter trust. In questo modo i tifosi si fanno carico di un compito fondamentale: controllare l’operato societario e divenire il punto di riferimento della passione di un’intera città.
Il rapporto tra l’Associazione e la proprietà non ha risentito delle peripezie societarie né delle difficoltà sportive, anzi “i rapporti con l’attuale presidente De Meis sono ottimi. Con la società c’è trasparenza e collaborazione totale. Per quanto riguarda Biagio Amati, gli và riconosciuto il merito di averci sempre sostenuto, anche se da un anno a questa parte non c’era piena sintonia nelle scelte societarie”.
Il cammino degli “Amici del Rimini Calcio”, a detta di Ivan, è però ben lungi dall’essere concluso.
“Il più grande obiettivo a medio-lungo termine che ci siamo preposti è quello di diffondere la cultura della partecipazione attiva in tutti gli strati della cittadinanza. In Italia molti sono ancora convinti che i tifosi debbano solo fare i tifosi lasciando l’onere della gestione ad imprenditori che spesso sono mossi dal solo tornaconto personale. C’è bisogno di diffondere un nuovo modello di tifoso, il quale non può limitarsi ad andare allo stadio la domenica, bensì deve rendersi parte attiva della governance societaria. Importante, in questo senso, è il lavoro svolto da Supporters in Campo con le istituzioni sportive del calcio italiano”.
Le parole di Ivan Raffaelli racchiudono una considerazione di importanza essenziale. Negli ultimi mesi, infatti, pur avendo assistito alla nascita di molti supporter trust non è cambiata, nella mente della maggior parte del pubblico del pallone, l’idea che l’unico compito del tifoso sia quello di tifare la propria squadra allo stadio o comodamente seduti sul proprio divano.
Le tante Associazioni di tifosi sono chiamate dunque a cambiare una “forma mentis” fin troppo radicata nella nostra cultura: quella della delega come sola possibilità di azione.
La crisi economica ha messo a nudo il nostro lato peggiore, e solo l’impegno in prima persona di tutti i tifosi possono invertire una rotta che conduce,inesorabilmente, al collasso del sistema calcistico.