Dalla Scozia alla Catalogna, dai Paesi Baschi al Veneto, dal SudTirolo alla Crimea, si assiste ad una rinascita dei nazionalismi, ad un ripristino del principio di autodeterminazione dei popoli che in quanto tale minaccia il corso della Globalizzazione e il ritorno ad una frammentarietà dei singoli Stati nazionali.
Scriveva nel 1999 il sociologo Ulrich Beck all’interno di quello che è a conti fatti il suo lavoro più importante, Cos’è la Globalizzazione, edito in Italia dalla casa editrice Carocci:” Globalizzazione significa il processo in seguito al quale gli Stati nazionali e la loro sovranità vengono condizionati e connessi trasversalmente da attori trasnazionali, dallo loro change di potere, dai loro orientamenti, identità e reti.”
Riportare dunque le parole di colui che, tra i primi, comprese in cosa consista il fenomeno, la realtà complessa della globalizzazione, quando questo termine ormai super-inflazionato cominciava a farsi appena presente nel gergo quotidiano delle masse, rappresenta la migliore introduzione per analizzare a distanza di qualche anno quelle che sono state le reazioni dei popoli sovrani ai condizionamenti di questo fenomeno, una cornice che com’è noto tratteggia aspetti e categorie di ogni realtà, da quello squisitamente economico, essendo la globalizzazione un processo sopratutto di unificazione dei mercati, a quello essenzialmente politico, essendo ogni sovranità nazionale subordinata a quelle che sono le esigenze della ‘globalità‘, a quello propriamente comunicativo.
Quel processo dunque iniziato con gli anni 80′, rafforzatosi poi negli anni 90′ e infine realizzatosi definitivamente con l’inizio del nuovo secolo, grazie anche all’avvento di internet, che a reso possibile scambiare informazioni e dati sincronicamente da ogni lato del mondo, si presta oggi ad una migliore analisi, anche nei suoi aspetti propriamente storici, ad essere guardato più concretamente da presso nella contingenza delle reazioni sovrane e nazionali, ad una introspezione di quei trasversali condizionamenti che in quanto tale, quasi si trattasse di una ‘profezia’ di Herbert Marcuse, hanno uniformato le infinite differenze dei popoli sovrani ad una sola ed esclusiva ‘dimensione‘, ovviamente quella del dominio della tecnologia e del capitalismo.
Sicchè non rappresenta più un ‘tabù‘ parlare della genesi, per così dire endogena, di forze ostili a questo processo ineluttabile, persino reazionarie in certi casi, a quello che a conti fatti sembra essere un destino inalienabile per ogni popolo sovrano, l’uniformità alle regole dei mercati internazionali, della produzione, della tecnica e della lingua.
Negli ultimi due, tre anni infatti, complice la crisi economica internazionale, si è assistito in più occasioni ad una rivisitazione del principio di autodeterminazione dei popoli, protesi ognuno per proprio conto, secondo la propria tradizione, cultura ed economia, a rielegittarsi difronte agli obblighi e ai condizionamenti che la globalizzazione trasversalmente ha imposto, a dichiararsi indipendenti e pienamente sovrani difronte ad ogni straniero ‘occhio’, un fuoco questo che a ben vedere si acceso in più parti e in più aree del mondo, dalla Scozia alla Catalogna, dai Paesi Baschi al Veneto Italiano, dal SudTirolo alla Crimea. L’attuale boom di LePen in Francia e la vittoria dei nazionalisti fiamminghi di Bart De Wever in Belgio alle elezioni locali dello scorso anno, rappresentano eloquentemente e con chiarezza il ritorno dei sentimenti nazionalisti nel grembo della vecchia Europa, ed ora ne minacciano anche l’unità tanto agognata. Sì, perchè naturalmente la fioritura dei sentimenti nazionalisti e la rivisitazione del principio di autodeterminazione dei popoli costituiscono la sola ed unica minaccia per il cammino della stessa Unione, a conti fatti solo economica e burocratica, molto più infatti della stessa condizione di crisi che ne attaglia l’economia da qualche anno a questa parte, e come spesso si sente dire, le prossime elezioni rappresenteranno di certo la più classica delle prove del nove. Non è difficile infatti, date le premesse, che il prossimo parlamento europeo sarà quello più euro-scettico che la breve storia dell’Unione abbia mai visto, tanto da minacciare il proseguimento della stessa moneta unica.
D’altronde basta visitare un saggio politico dell’illuminista Immanuel Kant per comprendere cosa la globalizzazione abbia in realtà mancato, se non da un punto di vista economico- finanziario, come metodologia scientifica di scambio, come ‘positivismo organizzativo’, certamente da un punto di vista squisitamente razionale, tanto da rovesciarsi gradualmente nel suo opposto, ovvero in un processo di frammentazione dell’unità, indispensabile, secondo l’etica del filosofo di Konigsberg, per l’esistere stesso di ogni ‘pace perpetua‘.
Kant infatti, che credeva nel progresso dell’umanità, sosteneva che la pace perpetua è una possibilità reale, ma al contempo un asintoto verso cui tendere; i requisiti essenziali per l’ottenimento di questo, sono l’autodeterminazione dei popoli e il divieto assoluto di eserciti permanenti nei territori, da cui si evince, forse, che qualcosa sta andando quindi storto. Tant’è che nella sua visione ideale, ma non utopica, il filosofo di Konigsberg parla di una confederazione di Stati‘, e quindi di popoli autoderminatisi secondo la prioprio cultura e tradizione, ma non di una ‘Repubblica mondiale‘, perchè come dice il filosofo all’interno del saggio del 1795, la Pace Perpetua:
“molti popoli in uno Stato farebbero solamente un popolo che contraddice la premessa, al contrario invece ogni Stato ripone la sua maestà proprio nel fatto di non essere soggetto a nessuna costrizione legale. Cosí deve necessariamente esserci una Federazione di tipo particolare, che si può chiamare federazione di pace (foedus pacificum), che si differenzierebbe dal trattato di pace (pactum pacis) per il fatto che questo cerca di porre fine semplicemente a una guerra, quella invece a tutte le guerre per sempre. Questa federazione non si propone la costruzione di una potenza politica, ma semplicemente la conservazione e la garanzia della libertà di uno Stato preso a sé e contemporaneamente degli altri Stati federati, senza che questi si sottomettano (come gli individui nello stato di natura) a leggi pubbliche e alla costrizione da esse esercitata. Non è cosa impossibile immaginarci la realizzabilità (la realtà oggettiva) di questa idea di federazione, che si deve estendere progressivamente a tutti gli Stati e che conduce cosí alla pace perpetua.”
Si comprende dal passo del filosofo di Konigsberg, quindi, cosa in realtà la Globalizzazione abbia in sé fallito, cosa abbia generato quel processo tendente, anziché all’unità degli Stati tenuti insieme da una confederazione che garantisce il diritto di ognuno per il Bene di tutti,( ovvero ciò a cui tende la Ragione incondizionata) ad una nuova frammentazione dei rapporti diplomatici tra Stati, tanto da minacciare, come si vede amaramente in questi giorni, l’esistenza stessa della pace; l‘esercizio di un potere ‘autoritario’ , ovvero di una Repubblica mondiale secondo una lettura kantiana, che anziché riconoscere la conservazione e la garanzia della libertà di ogni Stato e contemporaneamente degli altri Stati confederati, dando luogo quindi ad un concerto internazionale nel quale il solo interesse deve essere il Bene comune, li ha sottomessi alla coercizione delle leggi pubbliche, alienandoli da quelli che sono i propri interessi e tradizioni.
L’esatto opposto di ciò che dice infatti un Sistema di Ragione illuminato.