Uruguay, accordo con gli USA: in custodia 5 prigionieri da Guantánamo
Il governo dell’Uruguay ha accettato di ricevere i detenuti del campo di prigionia di Guantánamo, rendendosi disponibile a tenere in custodia 5 prigionieri, per almeno due anni. “Hanno chiesto a molti Paesi se potevano ospitare dei prigionieri, ed io ho detto sì. […] I prigionieri non hanno visto un giudice, un procuratore, e anche il Presidente degli Stati Uniti vuole risolvere il problema”, così ha dichiarato il Presidente uruguaiano José Alberto Mujica Cordano, soprannominato “Pepe”.
Egli conosce bene questo tema: durante gli anni Sessanta, “Pepe” aderì al neonato movimento dei Tupamaros, un gruppo armato di sinistra, e dopo il colpo di Stato del 1973 fu trasferito in un carcere militare dove rimase richiuso per 14 anni. Soltanto quando la democrazia fu ristabilita, nel 1985, fu liberato grazie ad un’amnistia della quale beneficiarono sia i guerriglieri sia i golpisti per crimini di guerra e fatti di guerriglia commessi dagli anni Sessanta. Egli è noto come il Presidente “più povero al mondo” poiché riceve dal proprio Stato uno stipendio pari a 12’000 dollari al mese ma ne dona circa il 90% a favore di NGO e a persone bisognose. Inoltre, ha rinunciato a vivere nel palazzo presidenziale preferendo vivere in una piccola fattoria nella periferia di Montevideo.
“È una questione di diritti umani”, così ha motivato il prossimo trasferimento dei prigionieri in Uruguay, che è il primo Paese dell’America Latina a realizzare un accordo simile con il governo statunitense. A tal proposito, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti si è esclusivamente limitato a comunicare che “gli Stati Uniti hanno coinvolto il governo dell’Uruguay nella discussione sulla chiusura del carcere di Guantánamo”. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama è intenzionato a chiudere al più presto ciò che ha danneggiato l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, procurando un grave danno di credibilità.
Le operazioni di trasferimento sono state condizionate dalla scelta di non restituire i prigionieri ai loro Paesi d’origine, dove verrebbero quasi sicuramente messi a morte per accuse di terrorismo che non sono state prese in considerazione dagli Stati Uniti. Tuttavia, i trasferimenti dal campo di prigionia stanno aumentando progressivamente aumentando: infatti, il numero di detenuti è passato da circa 800 del 2002 a circa 150 di oggi.