“Dobbiamo diventare un partito per farci ascoltare?”. A metà tra il serio e il faceto, il, intervenendo al congresso regionale in Emilia segretario generale della Cgil, Susanna Camusso Romagna, lancia la provocazione. “C’è in corso una gara tra tutti i ministri, a spiegare che loro, per carità, dal sindacato al massimo accolgono dei consigli ma non intendono fare nessuna discussione, ultima a dirlo è stata la ministra della Funzione pubblica, Marianna Madia”.
“Nel momento in cui c’è una separazione tra la modalità dell’agire precedente e l’oggi cui ci troviamo di fronte, noi cosa pensiamo di fare?” si è chiesta Camusso. “Attendiamo? Oppure pensiamo – ha detto – che siccome c’è un primato, non so quanto forte della rappresentanza politica, ci trasformiamo anche noi in un’organizzazione politica? Oppure – si è chiesta ancora – ci interroghiamo su come ricostruire la nostra funzione di contrattazione?”.
Le domande, per lo più retoriche, del leader del maggior sindacato italiano sono chiaramente dettate dal diverso atteggiamento con cui il governo Renzi si è posto davanti alle parti sociali (“ascoltiamo tutti ma decidiamo noi” ha più volte detto il premier): prova ne sono le dichiarazioni di ieri del ministro del Lavoro Giuliano Poletti – una vita tra Pci e Coop rosse, quindi totalmente insospettabile – che ha avvertito come, con l’avvento al governo di Renzi, “la concertazione non esiste più”.
In conclusione, la Camusso ha sottolineato come “oggi nel paese e nel dibattito politico il sindacato è considerato un ostacolo da rimuovere per tante ragioni. Perché si pensa che, anche per le modalità di organizzazione del lavoro, la rappresentanza sociale interferisca nel rapporto diretto col cittadino”. La politica, quindi, cerca in tutti i modi di scavalcare i corpi intermedi per rivolgersi direttamente ai cittadini, in quanto “la modalità dello scambio deve passare direttamente dal consenso”.