Presidente Senato Piero Grasso “Serve lo ‘ius soli'”
Ius soli. A rilanciarlo è direttamente il Presidente del Senato, Piero Grasso. “È giunto il momento – sostiene – di pensare a un nuovo percorso di cittadinanza per gli stranieri che qui si sono integrati e per le seconde generazioni”.
Di fatto in Italia si è rimasti ancorati alla cittadinanza ottenuta per sangue (ovvero per discendenza): è lo ius sanguinis. L’idea, messa al centro per la verità già da Pier Luigi Bersani durante la campagna elettorale del 2013, è quella di passare ad un metodo di acquisizione di cittadinanza meno restrittivo, in modo da coinvolgere alla nazioni anche i giovani nati nella penisola da genitori stranieri. E’ Grasso in persona a dire come “le nostre norme sulla cittadinanza sono fra le più severe in Europa e rischiano di escludere dai diritti migliaia di persone che con il loro lavoro onesto contribuiscono al benessere e al progresso della nostra società, che è anche la loro società”.
Il Presidente del Senato, in prima fila alla presentazione del Rapporto Famiglia Cisf 2014 (precisamente sulla correlazione che intercorre tra le famiglie nostrane e l’immigrazione), parla dell’incidenza dell’immigrazione sul lavoro: “la stabile presenza di persone provenienti da altri paesi ha cambiato profondamente il volto dell’Italia nello spazio di pochi anni, due o tre decenni al massimo. Molti dei migranti che prima lavoravano nel nostro Paese per il tempo necessario a sostenere con rimesse o risparmi la famiglia nella nazione di origine, con la prospettiva di farvi ritorno appena possibile, sempre più spesso decidono di continuare a vivere in Italia, richiamando qui i propri congiunti con ricongiungimenti familiari, legali o di fatto”.
Torna poi sulle ‘seconde generazioni’: quei ragazzi, figli di immigrati, che sono nati (o arrivati da neonati) e cresciuti in Italia, i quali, però, sono costretti ad aspettare il diciottesimo anno di età – più un’infinita trafila burocratica – per ricevere la cittadinanza del ‘Belpaese’. Di fatto, sostiene Grasso, sono italiani: “giovani nati nel nostro paese, che qui studiano, parlando la nostra lingua e i nostri dialetti; che tifano o giocano nelle nostre squadre di calcio. Spesso mi ritrovo fra molti di loro nelle iniziative a favore della legalità e mi sono sempre chiesto amaramente perché questi giovani combattono per la giustizia e per il futuro di un paese di cui non sono e non saranno mai cittadini, almeno finché la legge non sarà cambiata”. Una situazione spiacevole che non può non essere risolta che per via legislativa, sebbene significhi uno scontro frontale con una parte dell’opposizione (sicuramente con la Lega Nord) e che, probabilmente, potrebbe minare la linea politica in seno alla maggioranza.
Daniele Errera