Il Decreto Lavoro potrebbe essere, senza problema di sorta, essere risoprannominato ‘Decreto della discordia’. Infatti, all’interno del Partito Democratico, caposaldo della maggioranza che sostiene Matteo Renzi presso Palazzo Chigi, un’altra componente importante, dopo quella dell’ex Ministro del Lavoro Cesare Damiano, si dissocia da quel dl che ritiene inadeguato: è la corrente dei Giovani Turchi.
“Pronte alla guerriglia”, scherza Matteo Orfini, capo filiera dei Giovani Turchi, con Chiara Gribaudo e Valentina Paris, deputate in Commissione Lavoro affiliate all’ex dalemiano. “Va cambiato”, tuona Orfini. Ma questi è solo l’ultimo dei vari big democrat – assieme a Cuperlo, Fassina, Damiano, Epifani ed altri ancora – ad essersi posto contro il ‘Decreto Lavoro’ di Poletti. “Un errore farlo passare per decreto” si saprà, poi, da ambienti governativi. Orfini mostra i muscoli: “i numeri li abbiamo noi. In Commissione Lavoro il Presidente è un esponente della minoranza, Cesare Damiano, e solo noi “turchi” siamo quattro. Dopodiché se Renzi si intestardisse a volerlo lasciare com’è, beh, vorrà dire che se lo approva con Forza Italia”.
Una bella gatta da pelare per Renzi, che, al contempo, lavora alla riforma dello Stato (province, Titolo V, poteri del premier). Il leader dei Giovani Turchi spiega la posizione: “inserire nel decreto il contratto a tutele crescenti contenuto nella successiva legge delega, rendendolo più conveniente a livello contributivo di quello a termine, in modo da facilitare le assunzioni. Capisco che Renzi abbia voluto limitare i contenuti del decreto per rispetto del Parlamento, per lasciare maggiore libertà di discussione sul Jobs act, ma io dico andiamo oltre. Contestualmente, correggiamo quello che non va nel decreto su apprendistato e contratti a termine”. E chiude sarcasticamente: “io il decreto voglio cambiarlo. Sono renziano: anch’io voglio essere torrente impetuoso per migliorarlo”. Sembra che all’interno del Partito Democratico si preparino le armi per una resa dei conti fra Renzi e coloro che non l’hanno mai visto di buon occhio.
Daniele Errera