Un vero conto alla rovescia quello per Matteo Renzi: tra i vari impegni in cui si è speso (dl Lavoro, riforma dello Stato, revisione dei poteri del premier, Partito Democratico) c’è anche la Riforma del Titolo V parte II della Costituzione. La riforma del Senato, praticamente. E per approvarla ci deve mettere al massimo quattro settimane, 28 giorni.
Nei corridoi di Palazzo Madama girano più voci ma con un unico minimo comune denominatore: la riforma renziana del Senato è quasi identica a quella che Berlusconi tentò di varare e che venne bocciata da un referendum: “un Senato dopolavoristico”, scherza il democratico Russo – in quota Letta – con Roberto Calderoli. Che risponde: “la riforma di Berlusconi era uguale a quella di Renzi e i cittadini la bocciarono”. Ci va giù pesante anche l’ex Pdl, adesso Senatore con Scelta Civica, Mario Mauro: “la maggioranza dei votanti ha respinto la riforma. Dovremmo rispettare la loro volontà, non possiamo riproporgliela pari pari. Stiamo attenti a non fare sciocchezze”. Ed internamente al Pd, come per il Dl Lavoro, come per l’abolizione delle Province e tanto altro, anche per la riforma del Senato monta la protesta: “attento Matteo – avverte il senatore Corradino Mineo – che infroci”. “Non ti preoccupare”, avrebbe risposto l’ex sindaco di Firenze che, poi, si sarebbe messo pazientemente ad ascoltare le varie perplessità dei senatori dem. Il giornalista prestato alla politica, poi, prevede come “il drappello dei resistenti aumenterà, è molto difficile che qua dentro passi quella roba, perché in Forza Italia si dovrebbero impiccare alla fine del bicameralismo, quando non sono sicuri che l’Italicum li riporterà in Parlamento”. E Walter Tocci attacca il premier affermando come “Renzi non può dire ‘o la votate o me ne vado’ , perché non si minaccia la crisi politica per cambiare la Costituzione”.
Nel Pd, insomma, i malumori sono all’ordine del giorno. Addirittura Gotor (dalemiano) accusa la leadership di Renzi essere vicino a quella peronista a cui si aggiungono punte di populismo. Anche Zanda e Finocchiaro vivono con imbarazzo la situazione di poca collegialità. E l’ex vice presidente del Senato Vannino Chiti avverte come “se sui senatori si riversa la sensazione che saranno irrilevanti, ci si complica la vita anche sulle riforme. Ridurre il numero dei senatori e lasciare 630 deputati porterebbe a uno squilibrio, è il Parlamento che bisogna riformare”. Ma, in verità, è tutta la maggioranza ad essere in fibrillazione: anche nel Nuovo Centrodestra sorgono i primi malumori. Ne parla il presidente del partito, Renato Schifani: “noi vogliamo contribuire con un atteggiamento costruttivo e non dilatorio. Ma sulla velocità sarei più prudente, bisogna lasciare spazio al dibattito. Un percorso accidentato delle riforme sarebbe pericoloso per il governo. E il voto di fiducia sarebbe uno strappo, che nessun governo ha mai realizzato su una modifica costituzionale”. A questo si aggiunge la richiesta di un’accelerazione sulle riforme da parte di Scelta Civica, come affermato dall’ex dem Lanzillotta. Calcolando le poche settimane di tempo o Renzi dimostra di essere il riformatore più veloce che l’Italia abbia mai visto o, per utilizzare le parole di Roberto Calderoli, “qui salta tutto”.
Daniele Errera