Obama, non solo complimenti. La storia di Leonard Peltier
Ieri qualcuno avrà fatto caso che ad un certo punto del passaggio del corteo presidenziale è spuntato un cartello che chiedeva libertà per Leonard Peltier, poi subito rimosso e il manifestante denunciato. Il nome di Leonard Peltier è infatti un nome scomodo per gli USA.
Sostanzialmente tutto è andato secondo copione; la tanto attesa visita di Barak Obama a Roma consumata tra incontri in Vaticano e le più alte cariche dello Stato, visite private alle bellezze della città e un mega corteo presidenziale tra le vie del centro, chiuso al pubblico per l’occasione, ha lasciato dietro di sé i soliti spunti di riflessione per l’opinione pubblica, e al di là di ciò, non si rammenta infatti nessun episodio di cronaca, tanto è stato sicuro ed efficiente il piano di sicurezza messo in piedi dalle forze di sicurezza italo-americane.
Sennonchè, come confermano fonti di Rainews 24, ad un certo punto del passaggio del corteo presidenziale, costeggiato da entrambi i lati delle strade da folle di curiosi accorsi a vedere, è spuntato un cartello con su scritto “Libertà, Freedom, per Leonard Peltier, da trentotto anni ingiustamente incarcerato. 13.900 giorni. Il mio crimine: essere indiano. Qual è il tuo?» subito prontamente rimosso dagli uomini della sicurezza.
Un episodio questo compiuto da un uomo solo, di nome Andrea De Lotto, intorno alle 9:00 della mattina nei pressi di Piazza San Pietro, quando, infatti, secondo programma il presidente si apprestava a fare visita a Papa Francesco.
Dell’uomo fermato dagli agenti si sa che lavora come maestro delle elementari a Barcellona, che è attivista del Comitato di solidarietà per Leonard Peltier e che a partire dal 7 febbraio 2014, anniversario della carcerazione di Peltier, insieme ad altri membri del Comitato presidiano ogni giovedì dalle 12,30 alle 13,30 davanti l’ambasciata statunitense di Barcellona.
Relativamente al fermo, secondo alcune testimonianze, il sig. De Lotto sarebbe stato dapprima fatto salire su una volante della Polizia, e poi accompagnato alla Questura di P.zza Cavour dove sarebbe stato denunciato per ‘manifestazione non autorizzata’.
Chi è infatti Leonard Peltier e perchè il suo nome è così inviso ai leader a stelle e strisce?
L’uomo che ha infatti urlato al mondo il nome di Leonard Peltier, denunciandone la storia, è un uomo che ha testimoniato come a volte anche negli USA accade di essere ‘ingiusti’, e magari di applicare la ‘legge’ un po’ così, come gli va.
Leonard Peltier, la cui storia è raccontata tra l’altro anche da un film-documentario realizzato nel 1998, è un uomo che vive in carcere ormai da 38 anni, e la sua sola colpa sembra quella di essere un nativo Indiano, un amerindio, un pelle rossa, che si è sempre battuto (oggi ha 70 anni) per i diritti dei nativi d’America, divenendone progressivamente il simbolo,l’icona, una sorta di Nelson Mandela, come giustamente osserva il Manifesto, per ogni pelle rossa americano.
Amerindiano di ascendenza Ojibwa Lakota, Peltier è tra i fondatori del movimento American Indian Movement (AIM), nato per sostenere le battaglie per i diritti civili dei nativi, oggi infatti relegati a vivere nelle riserve, una dimensione spaziale che a ben vedere non ha molto da invidiare ad un ‘ghetto‘.
La sua storia inizia nel lontano 1973, quarant’anni fa, quando nel Lakota alcuni nativi indiani chiesero il suo aiuto e quello dell’AIM per iniziare proteste contro il governo americano, a quei tempi sotto la presidenza Richard Nixon, per gli abusi, sopratutto nei termini di spossessamenti ed espropri dai territori, aumentati esponenzialmente in particolare allorché fu scoperto che nel Lakota erano nascosti enormi giacimenti d’uranio. Ne nacque una contesa, che si concluse tragicamente: dopo circa due anni l’inizio delle proteste nel Lakota, in occasione di una festa di un membro del movimento, la cronaca racconta che alcune auto dell’Fbi prive di targa circondarono la zona e iniziarono a sparare sulla gente inerme.
I presenti risposero ai colpi e alla fine sul terreno rimarranno tre corpi: due agenti dell’Fbi e un indiano. “Naturalmente per il nativo ucciso non venne aperta alcuna inchiesta”, racconta il Manifesto, “mentre per i due agenti furono indagate tre persone, tra cui Leonard Peltier. Nonostante un accurato rapporto balistico del Fbi rivelasse che i proiettili non potevano essere stati sparati dall’arma del leader dell’Aim, il destino dell’imputato Lakota era già segnato, poiché il processo si svolse a Fargo, città storicamente nota per essere anti-indiana e molti testimoni furono pesantemente minacciati dall’Fbi, per non parlare delle versioni contrastanti degli agenti accusatori. Il dibattimento fu una farsa presieduta da un giudice razzista e una giuria composta esclusivamente da gente bianca, che non esitò a condannare Peltier al carcere a vita.”
Agli atti infatti Leonard Peltier risulta condannato a due ergastoli e non sembra che gli USA siano al momento intenzionati a riconsiderare il suo caso, nonostante più volte l’opinione pubblica, con l’aiuto anche di alcune star, sia schierata a suo favore. Si racconta che in carcere Peltier sia diventato un abile pittore, preferendo in particolare raffigurare simboli, ambienti ed aspetti della cultura dei pelle rossa.
Per la cronaca si racconta che dopo l’arresto di Andrea De Lotto, qualche ora più tardi altri manifestanti, questa volta del Cofem, Consejo de Federaciones Mexicanas en Norteamérica, manifesteranno in Piazza San Pietro contro le deportazioni dei messicani immigrati attraverso il confine statunitense e per la richiesta di una riforma migratoria, una protesta con esiti tuttavia più lievi rispetto al primo fermato: gli verrà chiesto, infatti, di spostarsi a via della Conciliazione, suolo italiano, per proseguire la loro manifestazione.