“Lei” – titolo originale “Her” – sembra la ragazza della porta accanto: giovane, cordiale, entusiasta. Per Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), l’eroe poeticamente malinconico del film scritto e diretto da Spike Jonze, quella voce (Scarlett Johansson) è un’ancora di salvezza dal mondo.
La voce lo saluta al mattino con brio e, con una raucedine sexy, gli augura la buonanotte alla sera. Organizza i suoi file e, a differenza di alcune donne multitasking, non si lamenta dei suoi molti ruoli, il che la rende la compagna ideale. Ma “lei” non è una compagna, non è un’amante, non è un’amica, non è una donna e neanche un essere umano: “lei” è un sistema operativo. È la storia d’amore improbabile, ma del tutto plausibile, tra un uomo che a volte assomiglia a una macchina e una voce tecnologica per certi versi molto simile ad una donna in carne ed ossa.
Il film è ambientato in un imprecisato futuro, probabilmente molto prossimo, a Los Angeles, città di paure e sogni di plastica. Theodore scopre un nuovo sistema operativo dotato di intelligenza artificiale, immediatamente lo acquista e lo installa sul suo computer. Lui e il software, che si chiama Samantha, cominciano scambiandosi convenevoli, giocando il ruolo di estranei destinati a diventare amanti.
Il fatto che Samantha non sia un essere umano non preoccupa Theodore, perché la solitudine è la sua condizione naturale. Questo non solo a causa della sua storia di vita, in particolare la separazione dalla moglie Catherine (Rooney Mara), ma anche perché tutti intorno a lui sembrano comunicare più con i loro dispositivi elettronici, chiamati OS – dall’inglese “Operating System” –, che con le altre persone. Theodore ha una sola amica, Amy (Amy Adams), e parla con un solo collega, Paul (Chris Pratt), nell’ufficio dove trascorre le sue giornate a scrivere lettere intime per altre persone.
In “Lei” tutto è allo stesso tempo familiare e sconosciuto, come i software attivati dai sensi – voce, gesti –, che Theodore utilizza sul lavoro e nel gioco. Spike Jonze e il suo bravissimo scenografo, K.K. Barrett, non hanno reinventato il mondo, hanno solo impreziosito il nostro. Esemplare è la loro rivisitazione di Los Angeles, realizzata attraverso l’utilizzo di immagini della stessa città e di Shanghai, rielaborate digitalmente. La città si estende quasi all’infinito e non si vede alcun mezzo di trasporto, per non rendere riconoscibile l’epoca in cui il film è ambientato. Questa dilatazione degli spazi contribuisce ad evidenziare quanto Theodore sia solo in mezzo alla folla. Samantha lo salva dalla solitudine, attirandolo fuori dal suo piccolo mondo. Nella versione originale la voce femminile è di Scarlett Johansson, in quella italiana di una intensa Micaela Ramazzotti.
“Lei” sarebbe difficile da immaginare senza Joaquin Phoenix, che eccelle nel suo splendido isolamento. Indossa un ordinato paio di baffi e gli occhiali cerchiati di corno, che danno al suo bell’aspetto un tocco di Groucho Marx. Il suo Theodore, spalle curve e pantaloni senza cintura stile futurista/vintage, è la perfetta immagine di uno sconfitto. È tranquillo e vulnerabile, eppure straordinariamente potente nella sua solitudine. Parte del piacere del film è il suo basso profilo, la sua bellezza silenziosa e la sua storia straordinariamente ordinaria.
In contrasto con la lucentezza dura di tanti film di fantascienza, “Lei” propone immagini in sordina: la faccia incredula e gli occhi spalancati di Theodore sono accompagnati da una luce diffusa e meravigliosamente bella, resa dai colori giallo, mandarino e corallo.
La colonna sonora, particolarmente suggestiva, è degli “Arcade Fire”, gruppo canadese “indie rock” noto per le grandi performance dal vivo e per la ricchezza del proprio sound, caratterizzato da armonizzazioni complesse e dall’uso di strumenti musicali non usuali nel rock, tra i quali archi, xilofono, corno francese, fisarmonica, arpa, mandolino, organo e ghironda.
“Lei” è il film di un uomo che, come tutti gli altri intorno a lui in questo prossimo futuro, si è ritirato in un mondo macchina, rifiutando il rapporto con gli altri esseri umani. Nel film, che si è guadagnato il Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale e al “Festival Internazionale del Film di Roma” ha visto conferire a Scarlett Johansson quello per la miglior interpretazione femminile, la grande questione non è se le macchine possano pensare, ma se gli esseri umani possano ancora sentire.