Il Presidente del Consiglio presenta il Disegno di Legge Costituzionale con cui il Governo intende cambiare la seconda parte della Costituzione, superando il bicameralismo perfetto e riformando il Titolo V. In una dettagliata intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo (Corriere) Renzi ripete quali saranno le caratteristiche fondamentali del nuovo Senato e si difende dalle critiche mosse da alcuni tra i giuristi più ascoltati (Zagrebelsky e Rodotà) e dal Presidente Grasso, contrario ad un Senato composto da rappresentanti delle autonomie locali.
Il premier va avanti. E fa bene, se è arrivato il momento di riformare lo Stato, è giusto che lo si riformi, scontentando chi, purtroppo, non si rende conto –o non si cura- dell’ineluttabilità di un intervento sull’architettura istituzionale della Repubblica.
Le riforme renziane hanno, però, forti limiti, opposti a quelli evidenziati dai loro critici. Il premier non sta rivoluzionando le Istituzioni; il suo progetto, al contrario, è ancora troppo timido, perché manca di quella radicalità riformatrice di cui ci sarebbe grande bisogno. Se la nuova legge elettorale, temporaneamente accantonata, è un pastrocchio “all’italiana”, su cui anche qui s’erano già espresse riserve, altrettanto nebuloso e inefficace rischia di essere tutto il complesso disegno del Governo.
È giusto superare il bicameralismo perfetto, ma sarebbe opportuno superare il bicameralismo tout court: perché sostituire il Senato con una seconda Camera non elettiva e dalle funzioni limitate quando, sostanzialmente, basterebbe, per tutto, la sola Camera dei Deputati? Il premier deve essere determinato, superando chi gli si oppone, e deve dimostrare di possedere un’idea organica e logica della Repubblica, smentendo chi, come noi, ha sempre dubitato della genuinità dell’ex sindaco di Firenze.
Il tempo per discutere non è mancato. Prodi, intervistato da Giannini (la Repubblica), sprona il premier ad andare avanti perché “di mediazioni se ne possono fare, ma la priorità resta sempre il bene del Paese”. La “Bicamerale D’Alema” del 1997 doveva far approdare il Paese ad una “Seconda Repubblica” e, invece, la XIII Legislatura ha prodotto una confusa e pasticciata riforma del Titolo V su cui ora è necessario metter mano. Renzi sa bene che chi ora gli si oppone cerca di difendere, esclusivamente, i propri particolari interessi. Ma sa ancor meglio che per vincere il populismo -quello di Grillo e quello di Berlusconi, Toti e Salvini- è fondamentale realizzare quel cambiamento promesso. Mantenga quanto detto,dimostri di non voler accettare il compromesso al ribasso.
La crisi della politica è, innanzitutto, frutto di una classe dirigente che non ha saputo fare scelte chiare. Cambiare verso, significa, innanzitutto, cambiare questo approccio.
Andrea Enrici